Israele taglia in due la Cisgiordania con le colonie: «Due Stati mai»
di Redazione
Via libera finale al piano E1 del ministro dell’estrema destra Smotrich per 3.401 unità abitative: «Cancellata l’illusione palestinese». Richiamati 60mila riservisti per l’operazione a Gaza

«Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo non con slogan, ma con i fatti. Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di questa pericolosa idea». Difficile essere più espliciti del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha così salutato l’approvazione definitiva del “Piano E1” arrivata ieri dall’Alta Commissione dell’Amministrazione Civile. Solo una settimana fa aveva mostrato a giornalisti ed entusiasti seguaci il pannello raffigurante il ciclopico progetto: un’irregolare, oblunga macchia blu unisce Gerusalemme Est a Ma’ale Adummim, e questa alle colonie nella valle del Giordano. Alle sue spalle il vasto e assolato panorama spalancato all’imminente trasformazione, pronto a essere testimonianza del sogno messianico che diventa realtà.
Il piano “E1” prevede la costruzione di 3.412 unità abitative nell’Area C che Israele, secondo il calendario sepolto della pace di Oslo, avrebbe dovuto restituire all’Autorità Palestinese nel 1999: 12 chilometri quadrati distesi fra Gerusalemme Est a nord e Betlemme a sud. Un blocco abitativo e infrastrutturale pensato per spezzare la Cisgiordania in due dispersi arcipelaghi e rendere impossibile la continuità geografica di un futuro Stato palestinese. Le rimostranze dell’Autorità di Ramallah e dell’Ue, che ieri ha chiesto in una nota a Tel Aviv di rinunciare al piano, si aggiungono all’impotente stillicidio di esortazioni delle settimane scorse, atti dovuti che sfumano in secondo piano davanti alle ore decisive per il destino di Gaza. Nei prossimi giorni, 60.000 cartoline di richiamo raggiungeranno in tutta Israele altrettanti riservisti, convocati nonostante la crescente stanchezza per il “Gideon’s charriot 2”, il piano militare concordato dal ministro della Difesa Katz e dal capo di Stato Maggiore Zamir per l’occupazione e l’assedio di Gaza city, stritolamento necessario a stanare e distruggere le ultime brigate di Hamas. I riservisti dovranno presentarsi in caserma ad inizio settembre. Quella annunciata ieri è solo la prima di quelle che potrebbero diventare tre ondate di richiamo, 130.000 riservisti nel complesso per un’operazione che si potrebbe protrarre fino a febbraio 2026.
L’ennesimo, gridato annuncio dell’approvazione del progetto ha già determinato mutamenti sul campo di battaglia. Centinaia di persone avrebbero nelle ore scorse abbandonato Gaza city per le precarie tendopoli del sud. Proprio qui, a Khan Younis, almeno 18 miliziani di Hamas hanno assaltato, per la prima volta dopo mesi di guerriglia sotterranea, una postazione dell’Idf. Il più massiccio attacco dall’inizio del conflitto. Dieci sarebbero i morti fra le fila del movimento islamista. Tre feriti, di cui uno grave, fra i soldati israeliani. Le Brigate Qassam sostengono invece di aver ucciso il comandante di un carro armato, e che «uno dei combattenti si è fatto esplodere causando morti e feriti». «Quasi 19mila bambini palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre a oggi», ha riferito nelle stesse ore l’ufficio stampa del governo di Gaza, quasi a voler tenere vivo l’indiretto appoggio diplomatico innescato nelle ultime settimane dall’inarrestabile sequenza di orrori che continuano a devastare la Striscia. Anche ieri, secondo il Ministero della Salute controllato da Hamas, sono state tre le vite perse per conseguenze legate alla malnutrizione, mentre 56 persone sarebbero state uccise dai bombardamenti aerei.
Tutto avviene mentre il governo Netanyahu valuta la proposta di tregua costruita da Qatar ed Egitto ed approvata lunedì da Hamas. La replica arriverà venerdì, ha fatto sapere l’esecutivo, sul quale sembra non gravare la manifestazione di dissenso di riservisti e piloti in pensione della settimana scorsa, o la poderosa dimostrazione che domenica ha portato in piazza due milioni e mezzo di persone per la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi. Ieri le famiglie hanno chiesto urgentemente un incontro con Katz e Zamir, per sincerarsi che l’imminente operazione non metta in pericolo i 50 prigionieri (solo 20 dei quali ancora in vita) segregati nei tunnel. In ore e giorni di sanguinosa ambiguità resta come incrollabile certezza il supporto del presidente americano Donald Trump al premier Netanyahu. «È un eroe di guerra, perché lavoriamo assieme. Credo di esserlo anch’io, a nessuno importa, ma lo sono anch’io», ha dichiarato in un’intervista.
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