
Un laboratorio di ricerca in Cina - ANSA
Volete sapere chi vincerà la sfida del futuro? Seguite il “flusso” dei cervelli. Ebbene la traiettoria è ben delineata. E segna un’inversione netta rispetto al passato. Gli scienziati cinesi stanno sempre più lasciando gli Stati Uniti per ritornare nel gigante asiatico. I numeri parlano chiaro. Tra il 2010 e il 2021, quasi 20.000 scienziati di origine cinese hanno lasciato gli Stati Uniti, una tendenza che si è accelerata dopo il 2018, con un aumento del 75% delle partenze. Il 67% ha scelto di ritornare in patria, con un aumento significativo rispetto al 48% del 2010. E tutto lascia presagire che la seconda presidenza Trump finirà per imprimere un’ulteriore spinta al fenomeno della migrazione di ritorno. Non si tratta di settori marginali, tutt’altro. A tornare sono ricercatori attivi nel campo della biotecnologia, della produzione di semiconduttori e dell'intelligenza artificiale. Il settore delle scienze biologiche ha registrato l'esodo più significativo, con oltre mille scienziati che hanno lasciato il Paese nel 2021.
I nomi sono prestigiosi: tra chi è tornato ci sono figure di spicco, come il neuroscienziato Yan Ning, che ha lasciato Princeton per dirigere la Shenzhen Medical Academy, e Gang Chen, un ingegnere del MIT rientrato alla Tsinghua University dopo essere stato scagionato dalle accuse di spionaggio.
Il flusso – o meglio il riflusso - di scienziati e ricercatori è destinato a produrre importanti effetti geopolitico. Perché cade all’interno dello “scontro” a tutto campo che contrappone Stati Uniti e Cina. Come scrive il sito di analisi Asia Times, siamo in presenza “di una competizione tra scienziati, ingegneri e pionieri del mondo accademico che daranno forma al futuro. In questa lotta, il talento è il nuovo petrolio e gli oleodotti si stanno spostando, mentre il flusso di talenti, un tempo unidirezionale, verso gli Stati Uniti si sta invertendo, riorientando le carriere, riequilibrando l'innovazione e ridisegnando la mappa del potere e dell'influenza globali”. Insomma stiamo assistendo “a una ridistribuzione delle capacità intellettuali globali, che sta rimodellando gli ecosistemi della ricerca e alterando sensibilmente l'equilibrio dell'innovazione globale”.

L'Università della California - ANSA
Cosa spinge gli scienziati cinesi ad abbandonare quella per che decenni era vista “come la terra delle opportunità” per eccellenza? Per gli esperti la spinta al ritorno è in realtà dettata da un fascio di ragioni. Innanzitutto essa affonda in una sierie di difficoltà e preoccupazioni (e diffidenze) psicologiche. Secondo uno studio del Stanford Center on China's Economy, circa il 35% degli scienziati cinesi negli Stati Uniti ha dichiarato di non sentirsi benvenuto; il 72% di non sentirsi al sicuro come ricercatore accademico; il 42% di avere timore nel condurre ricerche; e il 65% di essere preoccupato per le collaborazioni con la Cina. Tra i cinque possibili motivi per cui "non ci si sente sicuri come ricercatori accademici negli Stati Uniti", il principale citato dagli intervistati – il 67% – è stato il timore di "indagini del governo statunitense su ricercatori di origine cinese".
Il Global Times, voce ufficiale del Partito comunista cinese, dà una lettura interamente politica del fenomeno. “Dall'economia alla tecnologia, alcuni politici statunitensi hanno brandito la bandiera della "sicurezza nazionale" per demonizzare gli studiosi cinesi. Questa "politicizzazione" e "securitizzazione" del mondo accademico non solo ostacola lo sviluppo personale, ma soffoca anche il potenziale di innovazione degli Stati Uniti, diventando di fatto una barriera autoimposta. La "securitizzazione" di tutte le questioni relative alla Cina nell'ambito scientifico statunitense è chiaramente radicata nella più ampia strategia volta a reprimere lo sviluppo del Paese”. In realtà, contano anche le ragioni personali: la vicinanza alla famiglia, l'affinità culturale e il desiderio di costruire qualcosa in patria sono le motivazioni che condizionano l'agire. La scelta non è insomma sempre ideologica; a volte, è semplicemente pratica.
Sono tante le questioni aperte. E le incognite. Scienziati e ricercatori rientrano in patria con un bagaglio di esperienze, e non solo professionali. Hanno conosciuto stili di vita (e di pensiero) diversi. Asia Times: “I rimpatriati fungono anche da simboli potenti. I media cinesi descrivono il loro ritorno come una conferma dell'ascesa della Cina e del declino dell'Occidente. Queste narrazioni rafforzano il nazionalismo e legittimano il regime. Ma il governo sa che questo soft power è efficace in entrambi i sensi: i rimpatriati disillusi potrebbero diventare critici, quindi integrazione e rispetto sono fondamentali”.