
Immagini di distruzione nella Striscia di Gaza - Ansa
Il piano del presidente Donald Trump di «prendere in consegna» Gaza sfollando definitivamente i palestinesi e creando una «Riviera del Medio Oriente» ha irritato le nazioni arabe e gli alleati occidentali. Trump ha dichiarato di voler demolire gli edifici rimasti in piedi e trasformare il territorio in «proprietà» degli Stati Uniti attirando persone da tutto il mondo. Quanto ai palestinesi, per il presidente Usa vanno reinsediati altrove. «La trasformeremo in un luogo internazionale. Penso che il potenziale della Striscia di Gaza sia incredibile e che da tutto andranno lì». Anche i palestinesi, ma non tutti. A patto che gli Stati Uniti vengano coinvolti nella ricostruzione. Le ipotesi della Casa Bianca procedono di pari passo con il negoziato per la prosecuzione della tregua. La delegazione israeliana è in forse, quando era attesa a Doha, in Qatar, per proseguire i negoziati.
Più che un piano di rinascita, quella proposta dagli Usa sembra una piattaforma immobiliare. La Striscia di Gaza, lunga 45 chilometri e larga 10 nel punto più ampio, è incastrata tra Israele a nord e a est, penisola del Sinai a sud e il Mar Mediterraneo a ovest. Si estende per 360 chilometri quadrati, poco più del doppio della città di Washington. Prima che Israele lanciasse la sua guerra contro Gaza nell’ottobre 2023 per rispondere al massacro di Hamas del 7 ottobre, per andare in auto dalla punta settentrionale a quella meridionale della Striscia ci si impiegava al massimo mezz’ora.
L’uscita di Trump sembrerebbe respingere l’idea di una soluzione a due Stati in favore di una sorta di nuovo paradigma che prevede che gli Stati Uniti svolgano un ruolo cuscinetto nella regione interponendosi non più con l’uso delle armi ma appropriandosi di aree economicamente interessanti. Dall’inizio della guerra la popolazione di Gaza è diminuita del 6%, secondo fonti locali, ovvero circa 160mila residenti in meno (tra morti ed espatriati), scendendo a 2,1 milioni. «Non andremo da nessuna parte. Non siamo una delle sue risorse», ha detto Samir Abu Basel, un abitante di Gaza City.
I leader mondiali hanno respinto la proposta di Trump, tra cui Germania, Brasile, Arabia Saudita, Giordania ed Egitto, oltre a molti membri del Consiglio di Sicurezza Onu. Le Nazioni Unite, i gruppi per i diritti umani e alcuni democratici hanno dichiarato che la rimozione dei palestinesi da Gaza equivale a una «pulizia etnica».
Israel Katz, ministro della Difesa di Tel Aviv, ha ordinato all’esercito (Idf) di preparare un piano per consentire agli abitanti di Gaza di lasciare volontariamente la Striscia. Katz ha accolto con favore «il coraggioso» progetto di Trump. «Ai residenti di Gaza dovrebbe essere concessa la libertà di uscire ed emigrare, come è prassi in tutto il mondo», ha spiegato il ministro secondo cui il piano di Trump «potrebbe accelerare la ricostruzione di una Gaza smilitarizzata che non rappresenti una minaccia nell’era post-Hamas, cosa che richiederà molti anni». Secondo Katz tra le destinazioni dei gazawi dovrebbero esserci Spagna, Irlanda, Norvegia, Canada e tutti quei Paesi che hanno lanciato «false accuse» a Israele. Se si rifiutassero di accogliere palestinesi, «la loro ipocrisia sarebbe messa a nudo».
Intanto proseguono le missioni umanitarie che vedono l’Italia in prima linea con “Food for Gaza” che per il ministro degli Esteri Antonio Tajani può diventare un progetto da ribattezzare “Italy for Gaza”. «Non siamo abituati a fare propaganda, siamo abituati ad agire. Io credo che un governo serio debba agire e risolvere i problemi delle persone che hanno bisogno del nostro aiuto», ha detto Tajani dal porto israeliano di Ashdod, consegnando al Programma alimentare mondiale (Pam) le chiavi di 15 tir donati dall’Italia per la popolazione di Gaza. Sono state donate anche 15 tonnellate di beni di prima necessità, tra cui taniche per la distribuzione dell’acqua e beni volti a contrastare l’impatto dell’inverno.