martedì 27 dicembre 2022
Il 15 ottobre il presule è stato arrestato all'aeroporto di Asmara: da allora non si sa più nulla di lui e del parroco Mihreteab Stefanos. Il cappuccino Abraham invece è stato arruolato
Il vescovo eritreo Fikremariam Hagos Tsalim

Il vescovo eritreo Fikremariam Hagos Tsalim - Cortesia di Aiuto alla Chiesa che soffre via Crux, da angelonews.com

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Ancora silenzio da parte del regime eritreo sulla sorte del vescovo di Segeneiti, Fikremariam Hagos, che ha trascorso il Natale in cella in una località sconosciuta nello Stato-caserma dell'Africa.

Il 15 ottobre il presule è stato arrestato all’aeroporto di Asmara e da allora è sparito nel nulla, sorte riservata agli oppositori di uno dei regimi più repressivi del mondo. Nessuna risposta alle richieste di informazioni della chiesa eritrea.

Con il vescovo erano stati arrestati a metà ottobre due sacerdoti, il parroco della chiesa di San Michele a Segeneiti, Mihreteab Stefanos, e padre Abraham, frate cappuccino a Tessenei. Nemmeno del prete si sa nulla, mentre il religioso, nonostante la legge eritrea esenti i consacrati dal servizio di leva a vita, è stato arruolato a forza per recarsi a combattere nella vicina regione etiope del Tigrai.

Motivo? Aveva fatto il servizio militare prima di prendere i voti. Il governo eritreo non aveva mai osato arrestare un vescovo cattolico, perdipiù senza accuse formali. «Questo arresto non ha alcuna base legale – afferma don Mosè Zerai, eritreo e presidente dell’agenzia Habeshia – un vescovo cattolico ha trascorso senza ragione il Natale in carcere in Eritrea. Un caso di persecuzione passato sotto silenzio nei media internazionali. Nessuno ha potuto visitarlo dal giorno dell’arresto e non si sa dove sia. Di solito una personalità del suo calibro non viene rinchiusa con altri prigionieri».

Le colpe? Secondo don Zerai aver chiesto nell’ultimo periodo spiegazioni al regime circa la confisca delle scuole e delle cliniche cattoliche (molte delle quali finanziate da diocesi e parrocchie italiane, ndr). «Hagos – aggiunge - ha anche protestato pubblicamente per il trattamento dei fedeli della sua diocesi. Quando una persona fugge dall’Eritrea, infatti, il regime perseguita la famiglia, mettendo i parenti fuori casa o sequestrando il bestiame».

L’arresto segna un innalzamento delle ostilità contro la chiesa cattolica, unica voce libera nel piccolo paese del Corno d’Africa. Dopo l’espulsione nel 2007 dei missionari stranieri, è venuta la chiusura delle cliniche e delle scuole iniziata nel 2019 e conclusasi a settembre 2022, motivata da una legge del 1995 che assegna la gestione esclusiva dei servizi sociali allo Stato. Ma in uno stato poverissimo, erano le uniche a funzionare. In realtà è un pretesto per mettere a tacere i 4 vescovi eritrei che hanno coraggiosamente affrontato argomenti scomodi come l’esodo di massa dei giovani dal paese, la richiesta di applicare la costituzione (quindi la democrazia) dopo la pace con l’Etiopia nel 2018, la pace in Tigrai.

Molti sacerdoti nei sermoni domenicali hanno chiesto ai fedeli di non acquistare le merci saccheggiate ai tigrini dai soldati. La dittatura ha replicato con arruolamenti di massa fuori dalle Messe. «Il vescovo – conclude don Zerai – non ha potuto fare a meno di parlare di diritti e giustizia e dei giovani eritrei inviati come carne da macello in guerra». Probabilmente sta pagando per quello che ha detto.

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