sabato 23 maggio 2015
​Abigail, 16 anni cristiana, liberata solo grazie a un raid dell'esercito nigeriano dopo due mesi di prigionia. "I miliziani ci hanno dato nomi musulmani, eravamo costrette a praticare la religione islamica cinque volte al giorno".
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«Ho troppa paura per tornare a Mubi. Voglio continuare la scuola e, un giorno non lontano, studierò legge nella capitale Abuja o nella città di Lagos ». Le parole di Abigail John, una ragazzina di 16 anni, pronunciate in un luogo che deve rimanere segreto, rappresentano un importante barlume di speranza per sua mamma Rebecca. Insieme a centinaia di altre studentesse cristiane, la giovane è stata rapita dagli jihadisti di Boko Haram durante il 2014. Madre e figlia si sono potute riabbracciare solo lo scorso gennaio dopo quasi 2 mesi di prigionia. «I ribelli islamici sono arrivati quando mia mamma era partita per visitare sua sorella», racconta Abigail. «Durante l’attacco, gli uomini sono stati uccisi, mentre donne e bambini venivano rapiti. Quando ci hanno trascinato via – continua la ragazzina – ho visto tantissimi cadaveri per la strada».  Gli attacchi lanciati da Boko Haram durante gli ultimi mesi hanno preso di mira soprattutto cristiani. Un recente rapporto redatto da un gruppo di associazioni nigeriane cattoliche stima che «più di 5mila cattolici sono stati uccisi dalla setta e – afferma lo studio – oltre 100mila abitazioni di proprietà dei cristiani sono state distrutte negli ultimi sei anni». Diverse località occupate sono state persino ribattezzate. È il caso di Mubi, rinominata per un certo periodo «Madinatul Islam»: città dell’islam. «Dopo l’attacco ci hanno portato in una casa grande», spiega Abigail. «Quella prima sera i sequestratori ci hanno trattato bene facendoci anche mangiare. La mattina dopo, una volta finita la colazione – racconta la giovane –, i militanti hanno cominciato a predicare l’islam». La preghiera fu però improvvisamente interrotta dai bombardamenti dell’aviazione nigeriana.  L’offensiva dell’esercito, che era sotto pressione per le imminenti elezioni presidenziali previste per febbraio, prese di mira la casa degli jihadisti dove Abigail e decine di altre prigioniere venivano nascoste. Una bomba colpì l’edificio, uccidendo e ferendo diverse ragazze. Abigail è sopravvissuta, ma l’esplosione le ha ferito un braccio. «Alcune di noi sono riuscite a fuggire durante i combattimenti – continua –, ma io stavo troppo male per scappare». È così che i miliziani hanno cambiato località, dirigendosi verso la foresta di Sambisa, dove si sostiene che le liceali di Chibok, rapite il 15 aprile dell’anno scorso, siano state trasferite. Un territorio troppo complicato per effettuare eventuali raid di salvataggio. «Qui i ribelli hanno continuato a predicare, a farci indossare le loro lunghe tonache con il velo, e a darci nomi islamici – ammette la sedicenne –.  Da Abigail sono infatti diventata Zainab». Alle giovani venivano quotidianamente insegnati versi del Corano ed erano costrette a pregare cinque volte al giorno. Durante l’ultimo attacco dei soldati nigeriani, gran parte dei ribelli si sono dati alla fuga permettendo la liberazione delle sequestrate. Abigail sta ora tentando di tornare alla normalità. In qualità di cristiana, però, ha deciso di lasciare il nord del Paese a maggioranza islamica, e continuare la sua vita nel sud a maggioranza cristiano.
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