sabato 13 maggio 2023
Dalla riunione con le mogli degli assediati dell'Azvostal fino all'ultima mediazione del 6 maggio per i soldati in cella: il pontefice si è speso personalmente per cercare una via di dialogo
Papa Francesco con il presidente ucraino Zelensky

Papa Francesco con il presidente ucraino Zelensky - Fotogramma

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Il 24 febbraio 2022, poche ore dopo il primo attacco russo contro Kiev, la gran parte delle ambasciate straniere avevano già chiuso. Quelle rimanenti avevano trasferito il personale nelle residenze private degli ambasciatori. Tranne una: la rappresentanza diplomatica vaticana che non ha mai lasciato la sede, con il nunzio Visvaldas Kulbokas che neanche durante i più brutali bombardamenti ha abbandonato la capitale ucraina. «C’è la diplomazia vaticana e c’è quella personale del Papa», commenta un negoziatore europeo da Kiev, per niente sorpreso dalla visita di Zelensky a papa Francesco. Perché in questi mesi di conflitto la Santa Sede si è mossa sia secondo canali ufficiali, adoperando i codici e il lessico delle relazioni internazionali, sia attraverso la personale capacità di intervento del Santo Padre.

Gli scambi di prigionieri mediati personalmente da papa Francesco sono solo uno degli esempi. Una strada che il governo di Kiev vorrebbe ripercorrere con l’aiuto del Pontefice per riportare a casa le migliaia di bambini ucraini trasferiti in Russia e che hanno provocato il mandato di cattura della Corte penale dell’Aja contro Vladimir Putin. Che qualcosa si stesse muovendo al di fuori dei canali convenzionali lo si è compreso l’11 maggio del 2022, quando al termine dell’udienza del mercoledì due giovani donne vennero accolte da papa Francesco in piazza San Pietro. Erano alcune delle mogli dei comandanti del battaglione Azov. I loro mariti si trovavano ancora nell’acciaieria Azovstal di Mariupol. Katarina Prokopenko e Yulia Fedoshyuk, dopo l’incontro parlarono di «un momento storico: speriamo tutti insieme che questo possa aiutare a salvare i nostri mariti, i soldati che sono nella Azovstal». Il Papa le lasciò con una promessa: «Farà il possibile. Gli abbiamo chiesto di venire in Ucraina e di parlare con Putin perché se ne vada», anche se su questo «non ha risposto, ma ha detto che pregherà per noi».

Poco prima le giovani spose avevano ascoltato il Pontefice citare il personaggio biblico di Giuditta che «col suo modo furbo di agire – disse papa Francesco – è capace di sgozzare il dittatore che veniva contro il Paese. Era coraggiosa questa donna». Meno di una settimana dopo l’incontro con il Papa, era il 17 maggio, il battaglione Azov obbedì all’ordine di resa imposto da Kiev e i superstiti si consegnarono alle forze russe. Molti dei prigionieri sono stati uccisi facendo saltare in aria la loro prigione nel Donbass. I comandanti, invece, erano stati immediatamente deportati in territorio russo, a migliaia di chilometri di distanza. È in quel momento che papa Francesco insiste sul negoziato per lo scambio di prigionieri. Come ai tempi della dittatura argentina, quando il giovane padre Bergoglio riuscì a salvare decine di vite, papa Francesco ha mediato personalmente.

«Sono venuti da me alcuni inviati ucraini. Tra questi il vicerettore dell’Università Cattolica dell’Ucraina, accompagnato dall’assessore per le questioni religiose del presidente, un evangelico», aveva poi confermato il Santo Padre a metà settembre: «Abbiamo parlato, discusso. È venuto anche un capo militare che si occupa dello scambio dei prigionieri, sempre con l’assessore religioso del presidente Zelensky». Quella volta Kiev gli fece avere una lista di oltre 300 prigionieri. «Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio – aveva confidato il pontefice ai gesuiti del Kazakhistan dove si era recato in quei giorni –. Io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa». In effetti il 22 settembre avvenne lo scambio di oltre 200 combattenti. L’ultimo è del 6 maggio, quando in Ucraina sono tornati altri 45 militari.

Papa Francesco sa che aver tenuto viva la diplomazia umanitaria ha permesso di mantenere attive alcune fragili linee di comunicazione tra le parti. E intanto ha continuato a trasmettere il suo concreto sostegno alla popolazione. Pochi giorni dopo aver confermato il suo ruolo per il rilascio dei prigionieri di guerra l’Elemosiniere del Papa, il cardinale Krajewski, era rimasto coinvolto in una sparatoria a Zaporizhia, mentre consegnava aiuti inviati personalmente dal Pontefice. Un rischio che la comunità locale non ha dimenticato. Come non ha dimenticato la carezza di Papa Francesco attraverso il nunzio Visvaldas Kulbokas che il 15 agosto nel pieno dei bombardamenti si mise in viaggio da Kiev per consegnare un dono del Pontefice alla comunità. Il 3 agosto Bergoglio aveva benedetto a Roma la corona che poi è stata portata in Ucraina e posta nell’icona sul capo dell’Assunta nella Cattedrale di Odessa.

Certo, le incomprensioni non sono mancate nel corso di questi 15 mesi, ma i gesti concreti del Papa e tante delle sue azioni ancora coperte dalla riservatezza gli hanno fatto guadagnare il rispetto e la riconoscenza di un intero popolo e della sua leadership, che ora spera di poterlo accogliere in Ucraina per portare fin dentro alla guerra le sue parole di pace.

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