domenica 17 maggio 2020
Per l’analista statunitense «fin quando il virus non sarà eliminato ovunque, nessuno sarà al sicuro. Una lezione da tenere presente per affrontare finalmente insieme le altre sfide globali»
Abbraccio al funerale di un leader indigeno della comunità di Parque de las Tribos a Manaus nell’Amazzonia brasiliana

Abbraccio al funerale di un leader indigeno della comunità di Parque de las Tribos a Manaus nell’Amazzonia brasiliana - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«La cooperazione e gli aiuti internazionali non sono più un nobile gesto di solidarietà. Per i Paesi ricchi ora è questione di vita o di morte aiutare le nazioni più povere». Sono trascorsi 23 anni da quando Jared Diamond conquistò la ribalta internazionale con Armi, acciaio e malattie, insignito del Premio Pulitzer e considerato uno dei capisaldi della ricerca storica e geopolitica. Di nuovo, il suo Crisi. Come rinascono le nazioni, pubblicato l’anno scorso e uscito in Italia sempre per Einaudi, si rivela una cartina di tornasole del tempo attuale. In cui il pianeta globale e globalizzato è chiamato ad affrontare una sfida titanica quanto imprevista: rinascere dalle macerie – non solo sanitarie – della pandemia. La chiave per il biologo e geografo statunitense è scorgere gli invisibili fili rossi che legano le une alle altre le tessere del mosaico mondo. «La priorità per la politica internazionale – afferma Diamond – deve essere quella di trovare soluzioni globali, cioè condivise, di fronte a problemi che sono globali».

Si dice da tempo ma nel passato recente la comunità internazionale ha dimostrato di preferire agire in ordine sparso. Perché lo scenario dovrebbe mutare ora?

Finora le nazioni sono state incapaci di collaborare di fronte a questioni evidentemente comuni, prima fra tutte il cambiamento climatico e il rapido esaurimento delle risorse naturali. Probabilmente perché i danni del riscaldamento globale e il suo potere letale agiscono in modo relativamente lento e indiretto. Il Covid, al contrario, uccide a viso aperto e con inesorabile rapidità. Il coronavirus ha colpito il mondo intero. E fino a quando non sarà debellato ovunque, nessuna nazione potrà considerarsi al sicuro. Anche quante dovessero riuscire a tenerlo sotto controllo o addirittura a debellarlo, resterebbero esposte al rischio del ritorno della malattia da quei Paesi – pur pochi – dove rimanesse endemica. Dal Covid non ci si salva da soli. Nemmeno dal cambiamento climatico, a dire il vero. La pandemia ha squarciato il velo. E può di- ventare una fonte di ispirazione per trovare soluzioni comuni nei confronti di altre gravi sfide mondiali.

Aiutare il Sud del pianeta a risolvere i suoi drammi, a partire dall’attuale emergenza sanitaria globale, è, dunque, nell’interesse stesso dei “Grandi della terra”. Ma questi ultimi ne hanno consapevolezza?

Di certo, il Covid offre ai Paesi più poveri un’argomentazione straordinariamente convincente nei confronti della comunità internazionale. Non si tratta più di solidarietà bensì di far squadra per garantirsi insieme la sopravvivenza.


«Crisi» è l’ultimo saggio di Jared Diamond, pubblicato alla fine del 2019 in Italia da Einaudi/

La storia dell’umanità è stata segnata da numerose epidemie, come lei ben descrive in “Armi, acciaio e malattie”. Che peculiarità ha il Covid rispetto alle pandemie del passato, remoto e prossimo?

Alcune delle più note epidemie del passato sono state selettive. Si accanivano, in particolare, su alcuni settori della popolazione mentre altri risultavano sostanzialmente immuni. Ciò le ha rese armi di conquista o di difesa. Penso, ad esempio, ai virus portati dai conquistatori iberici nelle Americhe che hanno contribuito significativamente allo sterminio dei nativi, favorendo la dominazione del Continente. O, viceversa, alla malaria che, in Africa, a lungo, ha fatto strage delle forze coloniali, risparmiando, invece, gli autoctoni. Ciò spiega perché gli europei siano riusciti a spartirsi il Continente solo nel corso dell’Ottocento, dopo la scoperta del chinino. Il Covid, invece, è davvero globale.

Politologi, analisti, commentatori si interrogano sui cambiamenti che la pandemia provocherà nel breve e nel medio-lungo periodo. Come immagina lo scenario mondiale fra un anno?

Nell’ipotesi peggiore, nel 2021, la seconda o terza ondata epidemica continuerà a seminare morte e i Paesi più virtuosi nel debellarlo verranno reinfettati dagli altri, con meno risorse per gestire l’emergenza sanitaria. In quella migliore, al contrario, la collaborazione internazionale per arrivare al vaccino e a protocolli di cura efficaci avrà reso il virus inoffensivo. E, imparata la lezione, la comunità internazionale starà decidendo di applicarla ad altre questioni, dall’inquinamento alla diseguaglianza, ben più pericolose del Covid per l’equilibrio mondiale. In quale scenario ci troveremo dipenderà, in gran parte dai governanti che gli elettori si sceglieranno. Anche al riguardo, il coronavirus fatto affiorare la vera natura dei leader al potere, i loro punti di forza e le debolezze. Ne ha, in pratica, enfatizzato il coraggio, come nei casi di Germania e Nuova Zelanda. O la cecità, penso al mio Paese o al Brasile.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: