venerdì 23 luglio 2021
Il pugno di ferro della Casa Bianca non si discosta molto dalla politica di Trump. Dopo le sanzioni Usa ai militari per la repressione delle proteste, il regime processa «senza avvocati» 12 arrestati
Militari di fronte a una scuola all'Avana

Militari di fronte a una scuola all'Avana - Reuters

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L'Avana attendeva – almeno sperava – di trovarsi di fronte un “Obama bis”. Nei confronti di Cuba, invece, la discontinuità tra l’attuale presidente e il suo mentore non potrebbe essere più stridente. Anzi, in quest’ambito, incalzata da una frangia interna dei democratici vicini a Bob Menendez e spaventata all’idea di perdere il consenso della Florida alle prossime elezioni di “midterm”, l’Amministrazione Biden sembra un prolungamento dell’era Trump. Dopo mesi di attendismo, di fronte alla repressione delle maggiori proteste dagli anni Novanta, il leader statunitense ha scelto l’approccio muscolare. Giovedì, Washington ha sanzionato il ministro della Difesa, Álvaro López Miera e le Brigate speciali nazionali, le cosiddette boinas negras (baschi neri) per il pugno di ferro impiegato durante le manifestazioni esplose l’11 luglio. Una misura consentita nell’ambito della Legge Magnitsky, approvata nel 2012, che persegue i responsabili di violazioni gravi dei diritti umani.
Si tratta, certo, di un provvedimento di alto profilo ma selettivo. Differente, dunque, dalle restrizioni indiscriminate adottate da Donald Trump che hanno, ad esempio, messi forti limiti a viaggi e rimesse. Nel contenuto, però, il messaggio di Biden non sembra discostarsi molto dall’aut aut del predecessore: non ci sarà distensione senza una dimostrazione di “buona volontà” dall’Avana. Quest’ultima, tuttavia, almeno a parole, non sembra disponibile a un passo indietro. «È la polizia Usa a dover essere perseguita in base alla Legge Magnitsky», ha tuonato il presidente Miguel Díaz-Canel. Il tribunale municipale 10 ottobre della capitale, da parte sua, ha comminato le prime dodici condanne – a pene che vanno dai dieci mesi all’anno di carcere – ad altrettanti cittadini, fermati durante le proteste.
Tra loro anche Anyelo Troya, direttore della sezione cubana del video di Patria y vida, la canzone emblema delle dimostrazioni. Sua madre, Raiza, ha denunciato che il giudizio si è svolto senza la presenza dell’avvocato. Le autorità cubane non hanno fornito un numero esatto degli arrestati dell’11 luglio. L’opposizione, tuttavia, parla di varie centinaia, in buona parte di dimostranti pacifici. Il loro rilascio è stato chiesto anche da un insospettabile: Silvio Rodríguez, cantore della Rivoluzione. A lui si era rivolto il giovane drammaturgo Yunior García, fermato mentre manifestava. E Rodríguez ha subito accolto la proposta.

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