
Il cartonero Sergio Sanchez prima della partenza per il funerale a Buenos Aires - .
Tuta da lavoro, mate, sigarette. Sergio Sánchez è qui, come ogni giorno, nel suo “ufficio” del quartiere di Constitución: un banchetto nel patio dove, tre volte alla settimana, una media di almeno 6mila donne e uomini, privati dalla nuova crisi dei mezzi per andare avanti, ricevono un pasto caldo. Unico ornamento, sul tavolo di legno, l’immagine, fatta con pezzi di materiali riciclati, che sconcertò il mondo: l’abbraccio tra il “Papa e il cartonero”, colui, cioè, che per sopravvivere, cerca cartone fra i rifiuti e lo rivende. Il quadro riprende la foto del 19 marzo 2013 quando l’allora neo-eletto Jorge Mario Bergoglio aveva voluto il “cartonero” Sergio alla Messa di inizio Pontificato, nei posti riservati ai propri familiari. «Ho avuto il privilegio di accompagnarlo allora. Ora sarò di nuovo con lui», dice, secco e ruvido come semprea, il presidente della Federazione argentina dei cartoneros, uno dei fondatori del Movimento dei lavoratori esclusi (Mte), il cui penultimo figlio si chiama Francisco, come il Papa che l’ha battezzato nel 2015. Poche ore prima ha ricevuto l’invito e il biglietto aereo per partecipare al funerale del Pontefice a Roma. Invece di prepararsi per la partenza imminente, però, sta attaccato al cellulare. «Devo risolvere il problema dell’olio. Sono venuti di più negli ultimi giorni, qui a volte è più pieno di un campo da calcio. E l’abbiamo finito. Dal Comune non ce lo mandano da un po’. Come si fa a cucinare?». Come bagaglio ha uno zainetto minuscolo con un cambio, il passaporto, il telefono. «Non mi posso dimenticare solo la maglietta dell’Utep per il cardinale Micheal Czerny che ci ha sempre aiutato in questi anni. Per il resto, mi basta poco», aggiunge questo 61enne a cui il crack del 2001 ha strappato il posto in un’azienda di movimentazione di terra di Ezeiza, alle porte della capitale.
A 47 anni, di colpo, s’è ritrovato a frugare nei cassonetti con la moglie e le due figlie in cerca di qualcosa da commerciare. Sergio è diventato un “cartonero”. «Come buona parte degli argentini dell’epoca». Proprio nell’intento di unire la moltitudine di sfruttati nella cooperativa “Amanecer de los cartoneros” (l’alba dei cartoneros) in modo da ottenere un minimo di dignità, ha conosciuto l’allora arcivescovo. «È venuto lui da noi nel 2005, come era solito fare quando c’era un conflitto per cercare di risolverlo. Eravamo in sciopero della fame per chiedere l’asilo per i figli dei cartoneros che, non sapendo dove lasciarli, erano costretti a portarli con loro per strada. All’epoca, raccogliere materiale dai cassonetti era furto: in base a una legge risalente alla dittatura, i rifiuti appartenevano a un oligopolio di tre imprese incaricato della raccolta. L’illegalità faceva sì che i cartoneros venissero taglieggiati dalla polizia, multati, arrestati», spiega Nicolás Caropresi, antropologo che ha scelto di lavorare nell’Utep e ora è parte della dirigenza. Compresa la situazione, il cardinale Bergoglio ha celebrato una Messa in cattedrale per i raccoglitori di rifiuti, denunciando l’assurdità della loro criminalizzazione. «Con quel gesto, ha messo la questione al centro del dibattito pubblico. La politica, i media, nessuno poteva far finta di non vederla – prosegue Caropresi –. Il risultato, due anni dopo, è stata la prima legge per la regolarizzazione dei cartoneros e poi degli altri lavoratori dell’economia informale». È stato il principio di un percorso di impegno comune in difesa dei poveri che non si rassegnano e si organizzano. Il processo è maturato con l’Eucaristia per le vittime di tratta che Jorge Mario Bergoglio officiava, ogni anno, in Plaza de la Constitución dove, a dieci minuti dalle luci di calle Florida, si ammassano gli espulsi del sistema. Uomini e soprattutto donne che là, fin dal mattino, sono costrette a trasformare il proprio corpo macilento in merce.
La designazione a vescovo di Roma non ha interrotto il legame, nato sulle rive del Rio de la Plata, con i “Samaritani collettivi” e i “poeti sociali” come Francesco definiva gli ultimi capaci di riconoscersi protagonisti della Storia e di cambiarla in meglio per sé stessi e per tutti, nella certezza che – ne era convinto - dai semi di speranza piantati pazientemente nelle periferie dimenticate del pianeta potessero sorgere boschi fitti per ossigenare questo mondo. Anzi, è divenuto il pilastro del suo magistero economico e dell’aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa alla luce dello scenario attuale, in cui il mercato mondiale “espelle” il 60 per cento della manodopera. Un dramma da tempo cronico nel Sud globale. L’informalità lavorativa, però – come la pandemia ha rivelato – aumenta anche nel Nord. Da qui l’importanza – intuita da Bergoglio – dei movimenti popolari. Categoria spesso confusa dalla narrativa dominante con Ong e centri sociali. In realtà, essi riuniscono quanti fra i “marginali” inventano alternative più umane per andare avanti insieme. Un “cammino permanente” che “non inizia né finisce con noi”; «ci saranno progressi e regressi, ci saranno errori e successi, ma non abbiate dubbi è il cammino giusto», ha detto il Papa ai rappresentanti dei Movimenti popolari lo scorso 20 settembre a San Callisto, nel quarto e ultimi dei quattro incontri fisici organizzati dal dicastero per il Servizio allo sviluppo umano integrale. Con i messaggi a ciascuna di queste riunioni, Bergoglio ha tracciato un’enciclica a puntate su economia e giustizia sociale di dirompente profezia. Sintetizzata magistralmente nelle “tre T”, tierra, techo y trabajo cioè terra, casa e lavoro. «Se sono tanto felice di andare al funerale non è solo per me. Ci porto con me tutti quelli che i potenti non vedono e calpestano. Quanti stanno in fondo alla “scala sociale” – esclama Sergio prima di uscire –. Sa che cosa ha voluto dire al mondo Francesco mettendomi ai primi banchi all’apertura del Pontificato? Che per Dio gli ultimi della fila contano. Anzi dà loro la precedenza".