sabato 11 giugno 2016
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Se non moriranno di guerra, periranno di fame. Che poi è l’altra faccia del conflitto iracheno. Fatta eccezione per i membri del Daesh, tutte le altre famiglie non possono accedere al cibo: 30 euro per un chilo di riso, 700 euro per un sacco di farina da 50 chili. Le madri rovistano nella spazzatura. A causa degli scontri non si può neanche uscire in strada per raccogliere le erbacce. E non di rado «abbiamo notizie di suicidi da parte di chi non riesce a sfamare la propria famiglia». Per- ciò Bruno Geddo, a capo dell’agenzia Onu per i rifugiati in Iraq, definisce quella di Falluja come «un’altra tragedia umanitaria». E per dirla tutta, «il peggio deve ancora venire». La strategia del Daesh è chiara. Quella delle guarnigioni di Baghdad, molto meno. Se la diplomazia americana parla di «progresso sul campo segnato dalle forze irachene», altre fonti internazionali sul posto asseriscono che «in realtà la pressione sta attenuandosi non per aprire corridoi umanitari, ma perché manca un piano preciso sul come stanare gli uomini del Califfato senza sacrificare le vite di migliaia di civili». A guadagnarci sono anche i trafficanti di uomini. Gli unici in grado di muoversi con una certa disinvoltura tra i due fuochi. Fonti di intelligence, corroborate dalle testimonianze raccolte dalle Nazioni Unite, confermano che oggi per scappare da Falluja o Mosul possono chiedere fino a tremila dollari per persona. Più alto è il rischio, maggiore la tariffa. E oramai sono pochissimi ad avere abbastanza soldi per un viaggio di sola andata.«Ad ogni passo potrebbero trovare la morte», dice Geddo. Scappare senza “passeur” è impensabile. Nel centro abitato non c’è alcuna via di scampo. «Se riescono a raggiungere un corridoio di sicurezza, l’esercito iracheno può tentare di evacuarli. Tuttavia – aggiunge il diplomatico italiano –, se vengono catturati vengono giustiziati dagli uomini del Daesh». Negli ultimi giorni sono arrivate notizie su affondamenti di barconi nell’Eufrate. I più giovani provano l’attraversamento a nuoto, ma le famiglie con anziani e bambini vengono stipate in vecchie barche che non sempre arrivano dall’altra parte del fiume, in direzione sud. Da Baghdad sono partite due carovane con nuovi aiuti per coprire le necessità negli accampamenti di Ameriya al Falluja e Al Habaniya, vicino alla città. Una corsa contro il tempo per sfamare 2.800 famiglie (circa 17mila persone) fortunosamente scappate dai combattimenti. Intanto gli operatori umanitari lavorano per mettere in sicurezza i civili di Mosul, dove si prevede un’estate di sangue per liberare la roccaforte del Daesh. Ma Falluja resta la priorità. «I cecchini del Califfato – racconta Geddo – colpiscono i civili che tentano di allontanarsi dalla città». Per il Califfato i residenti sono scudi umani e nonostante vi siano fitti contatti tra le Nazioni Unite e l’esercito iracheno, affinché si scongiuri il bagno di sangue, non si posso escludere stragi. Le testimonianze raccolte dagli operatori negli accampamenti sono spaventose. Nei report trasmessi al quartiere generale dell’Onu si parla di civili orrendamente torturati senza apparente ragione. Di esecuzioni di massa compiute al solo scopo di dare l’esempio. Ma solo quando la battaglia sarà conclusa, e potranno volerci mesi, si potrà fare la conta delle vittime. Intrappolati in città vi sarebbero tra 50 e 60 mila persone. Ed è questo il vantaggio del Califfato: «Vogliono costringerci a scegliere – osserva un 'consigliere militare' europeo al seguito dei militari iracheni –: liberare una città senza più anima viva, oppure mantenere le posizioni nell’attesa di una svolta». In altre parole, consentire ai combattenti di al-Baghdadi di ripiegare a Nord per 400 chilome-tri, verso Mosul, dove andrebbe in scena lo scontro finale. Ecco perché «il peggio deve ancora venire».
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