Netanyahu non torna indietro e rilancia il piano di attacco
di Nello Scavo
Il premier convoca un gruppo di media esteri tra cui "Avvenire", ma non risponde alle domande sui timori umanitari. Il progetto di occupazione completa della Striscia: «Anche senza aiuto

“Il nostro obiettivo non è occupare Gaza. Il nostro obiettivo è liberare Gaza, liberarla dai terroristi di Hamas. La guerra può finire domani se Gaza, o meglio se Hamas depone le armi e rilascia tutti i rimanenti ostaggi”. Per Benjamin Netanyahu la giornata era cominciata male. La lettura della stampa internazionale e le prese di distanza da governi e organizzazioni che un tempo si guardavano dal rilasciare pubbliche critiche a Israele devono avergli fatto capire che arroccarsi senza rispondere alle critiche non lo sta aiutando. La notte precedente si era chiusa con oltre 60mila persone in piazza a Tel Aviv, mentre a Gerusalemme gruppi di estremisti ebrei hanno aggredito i manifestanti israeliani che chiedevano al governo di tornare sui suoi passi, fermare il massacro a Gaza e mettere al primo posto il rilascio dei 50 ostaggi ancora nella prigioni segrete di Hamas. Acque agitate anche dalla posizione dell’esercito, che attraverso i suoi capi non ha nascosto i dubbi per l’invasione di Gaza. E infine il Consiglio di sicurezza Onu, dove Israele può contare sul veto Usa, ma negli ultimi giorni Donald Trump non ha nascosto l’insofferenza per la tracotanza di Netanyahu.
E’ arrivato così l’invito ristretto a poco più di una dozzina di media internazionali, tra cui ”Avvenire” e “La Repubblica” per l’Italia, per una conferenza stampa nella quale il premier si sarebbe sottoposto alle domande dei reporter. Un tentativo per uscire dall’angolo indicando un colpevole: i giornalisti.
L’intenzione di Netanyahu era quella di accusare la stampa per aver messo in cattiva luce Israele, cadendo di frequente nella trappola delle bugie di Hamas. Ma alle domande salienti, il premier israeliano non ha risposto. A cominciare dal perché viene impedito ai reporter di potere accedere a Gaza. Mostrando cartine e grafici che accusano i miliziani, il capo del governo israeliano ha affermato di di aver "ordinato" all'esercito israeliano di far arrivare giornalisti stranieri a Gaza, ma ha sottolineato l'importanza di garantire la sicurezza dei reporter. Un mantra ripetuto per due anni, consentendo saltuariamente ad alcune testate di accedere per poche ore e scortate dall’esercito israeliano senza che i giornalisti potessero sceglie, né negoziare, i luoghi di destinazione decisi dalle forze israeliane. Il primo ministro assicura di avere dato l’ordine di consentire ai reporter di poter vedere Gaza: "La direttiva è in vigore da due giorni". In realtà non si tratta della possibilità per i corrispondenti di guerra di poter lavorare dalla Striscia fermandosi per più giorni. "Una delle cose che vedrete sono proprio i nostri sforzi per portare cibo a Gaza, vedrete i camion che sono entrati a Gaza e sono ancora in attesa di essere distribuiti. Vedrete i gazawi che combattono contro Hamas. Non lo vedevamo dall'inizio della guerra. E questo è un riflesso del fatto che sanno che ci stiamo avvicinando alla fase finale". Parole che sottintendono come in realtà la stampa che otterrà i permessi verrà “guidata” dall’esercito israeliano, “per la vostra sicurezza” ripete Netanyahu.
E’ arrivato così l’invito ristretto a poco più di una dozzina di media internazionali, tra cui ”Avvenire” e “La Repubblica” per l’Italia, per una conferenza stampa nella quale il premier si sarebbe sottoposto alle domande dei reporter. Un tentativo per uscire dall’angolo indicando un colpevole: i giornalisti.
L’intenzione di Netanyahu era quella di accusare la stampa per aver messo in cattiva luce Israele, cadendo di frequente nella trappola delle bugie di Hamas. Ma alle domande salienti, il premier israeliano non ha risposto. A cominciare dal perché viene impedito ai reporter di potere accedere a Gaza. Mostrando cartine e grafici che accusano i miliziani, il capo del governo israeliano ha affermato di di aver "ordinato" all'esercito israeliano di far arrivare giornalisti stranieri a Gaza, ma ha sottolineato l'importanza di garantire la sicurezza dei reporter. Un mantra ripetuto per due anni, consentendo saltuariamente ad alcune testate di accedere per poche ore e scortate dall’esercito israeliano senza che i giornalisti potessero sceglie, né negoziare, i luoghi di destinazione decisi dalle forze israeliane. Il primo ministro assicura di avere dato l’ordine di consentire ai reporter di poter vedere Gaza: "La direttiva è in vigore da due giorni". In realtà non si tratta della possibilità per i corrispondenti di guerra di poter lavorare dalla Striscia fermandosi per più giorni. "Una delle cose che vedrete sono proprio i nostri sforzi per portare cibo a Gaza, vedrete i camion che sono entrati a Gaza e sono ancora in attesa di essere distribuiti. Vedrete i gazawi che combattono contro Hamas. Non lo vedevamo dall'inizio della guerra. E questo è un riflesso del fatto che sanno che ci stiamo avvicinando alla fase finale". Parole che sottintendono come in realtà la stampa che otterrà i permessi verrà “guidata” dall’esercito israeliano, “per la vostra sicurezza” ripete Netanyahu.

Poco prima aveva mostrato sullo schermo tre foto, accusando i giornalisti di avere diffuso immagini false di malnutrizione, spiegando che in realtà si trattava di bambini ammalati, uno dei quali giunto in Italia per le cure, interrotte - ma questo Netanyahu non lo dice - dopo la distruzione del sistema sanitario di Gaza. “Queste sono le tre foto più celebrate, e sono tutte false. È il tipo di bugie malevoli che sono state rivolte al popolo ebraico nel Medioevo”. Come di consueto Netanyahu usa l’arma dell’antisemitismo contro chiunqe osi contraddirlo. E ricorda la maldicenza di altri tempi, seguita ”da orribili massacri, pogrom, deportazionii, che alla fine culminarono nel peggior massacro di tutti: l'Olocausto”. Oggi ”lo stato ebraico viene calunniato in modo simile”, sentenzia Benjamin Netanyahu rifiutando anche ogni appello interno a tenere distinte le cose.
L’incontro con i media procede senza che il premier esprima un ripensamento, un dubbio, un timido “mea culpa” per qualcosa che sia andato storto. Una prova di forza mediatica, nel momento in cui le critiche interne si fanno più dure e la stessa sopravvivenza del governo è minacciata dai litigi. Il piano di occupazione prevede oltre alla designazione di percorsi controllati e protetti, di “aumentare il numero di punti di distribuzione sicuri gestiti dalla Gaza Humanitarian foundation” mentre sarà la stessa aeronautica israeliana a effettuare lanci umanitari. “Stiamo invitando altri a unirsi a noi”, aggiunge. Segno che Tel Aviv potrebbe interrompere il via libera ai voli che decollano dalla Giordania, contestati perché hanno permesso di mostrare dalle immagini a bassa quota in che stato sia stata ridotta la Striscia. “Gli unici che stanno deliberatamente morendo di fame sono i nostri ostaggi”, ha detto avvicinandosi al grande schermo che mostra la foto dell'ostaggio Evyatar David, ridotto pelle e ossa e costretto a scarsi la fossa in uno dei tunnel dei miliziani.
Nessuno cedimento alle obiezioni, nessuno spazio per i timori, per la paura di chi anche in Israele pensa che il completo assedio e l'occupazione della Striscia di Gaza saranno una tragedia umanitaria che rischia di precipitare il Paese in una avventura senza ritorno. “Contrariamente alle false affermazioni, questo è il modo migliore per porre fine alla guerra e farlo rapidamente. Lo faremo consentendo prima alla popolazione civile di lasciare in sicurezza le aree di combattimento per le zone sicure designate”. Secondo il premier “in queste zone sicure riceveranno cibo, acqua e cure mediche. Come abbiamo fatto prima”, aggiunge non curandosi di tutte le documentate accuse delle organizzazioni internazionali. E quando gli viene chiesto proprio delle preoccupazioni della Casa Bianca, il capo del governo israeliano insiste: “Diversamente dalle false affermazioni, la nostra politica durante la guerra è stata quella di prevenire una crisi umanitaria, mentre la politica di Hamas è stata quella di crearla. Dall'inizio della guerra, Israele ha lasciato entrare quasi 2 milioni di tonnellate di aiuti! Non conosco nessun altro esercito che abbia permesso a tali aiuti di andare alla popolazione civile in territorio nemico”.
Il comizio si interrompe quando gli viene domandato perché perfino Trump lo abbia rimproverato per il dramma umanitario: “Hamas ha saccheggiato violentemente i camion con i carichi destinati ai civili palestinesi. Hanno deliberatamente creato una carenza di approvvigionamento. E l'Onu ha costantemente rifiutato, fino a poco tempo fa, di distribuire le migliaia di camion che abbiamo lasciato entrare a Gaza attraverso l'attraversamento di Kerem Shalom”. Ma ancora una volta il primo ministro si contraddice. E’ infatti lo stesso Netanyahu a parlare della necessità di istituire “corridoi sicuri” per l’accesso e la distribuzione degli aiuti. Corridoi che, evidentemente, non ci sono stati nonostante la massiccia presenza militare israeliana nella Striscia.
Dei dissidi interni e delle preoccupazioni dell’esercito, il capo del governo non ha voluto parlare. Al contrario ha riconfermato i piani, assicurando di non voler fare nessun passo indietro: “Visto il rifiuto di Hamas a consegnare le armi, Israele non ha altra scelta che finire il lavoro e ottenere la sconfitta di Hamas. Abbiamo circa il 70-75 per cento di Gaza sotto il controllo israeliano, un controllo militare. Ma abbiamo due roccaforti rimanenti. Sono Gaza City e i Campi centrali e Al-Mawasi”. Parlando ai giornalisti il capo del governo ha affermato che Israele ”non ha altra scelta che portare a termine il lavoro e sconfiggere Hamas”, dato il rifiuto del gruppo di deporre le armi.
Le parole del leader israeliano a un certo punto sembrano rivolte agli elettori di estrema destra. “La tempistica che abbiamo fissato per l'azione è piuttosto rapida - ha aggiunto -. Vogliamo, prima di tutto, consentire la creazione di zone sicure in modo che la popolazione civile di Gaza City possa allontanarsi", ha aggiunto. Un esodo di massa che però non ha “scadenze precise, ma stiamo parlando di un calendario piuttosto breve, perché vogliamo porre fine alla guerra”. Secondo il premier, al contrario di quanto sostiene anche il capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Zamir, "possiamo raggiungere un risultato che salvaguardi la popolazione civile e colpire Hamas allo stesso tempo", incurante delle accuse per gli oltre 60 mila morti tra i gazawi. E contraddicendo se stesso arriva a sostenere che "non era il nostro obiettivo smantellare Hamas, ma adesso lo è". E per farlo “Gaza sarà smilitarizzata e Israele avrà responsabilità di sicurezza. Sarà istituita una zona di sicurezza al confine di Gaza con Israele per prevenire future incursioni terroristiche”. Musica per le orecchie dei coloni che aspettano di poter abitare la “zona di sicurezza” espandendo la presenza israeliana. E chi si occuperà di gestire quel che resterà della Striscia: “Verrà istituita un'amministrazione civile che cercherà di vivere in pace con Israele”. Ma fino ad ora nessuno dei Paesi arabi che Netanyahu avrebbe voluto coinvolgere si è fatto avanti, specialmente per la pregiudiziale esclusione dell'Autorità nazionale palestinese, da sempre ai ferri corti con Hamas.
Quanto ai Paesi che si apprestano a riconoscere lo Stato Palestinese e quei leader stranieri che non risparmiano critiche al governo di Tel Aviv, ”è impossibile - dice con teatrale meraviglia Netanyahu - immaginare o comprendere come persone intelligenti in tutto il mondo, tra cui diplomatici esperti, leader di governo e giornalisti stimati, cadano in questa assurdità".
L’incontro con i media procede senza che il premier esprima un ripensamento, un dubbio, un timido “mea culpa” per qualcosa che sia andato storto. Una prova di forza mediatica, nel momento in cui le critiche interne si fanno più dure e la stessa sopravvivenza del governo è minacciata dai litigi. Il piano di occupazione prevede oltre alla designazione di percorsi controllati e protetti, di “aumentare il numero di punti di distribuzione sicuri gestiti dalla Gaza Humanitarian foundation” mentre sarà la stessa aeronautica israeliana a effettuare lanci umanitari. “Stiamo invitando altri a unirsi a noi”, aggiunge. Segno che Tel Aviv potrebbe interrompere il via libera ai voli che decollano dalla Giordania, contestati perché hanno permesso di mostrare dalle immagini a bassa quota in che stato sia stata ridotta la Striscia. “Gli unici che stanno deliberatamente morendo di fame sono i nostri ostaggi”, ha detto avvicinandosi al grande schermo che mostra la foto dell'ostaggio Evyatar David, ridotto pelle e ossa e costretto a scarsi la fossa in uno dei tunnel dei miliziani.
Nessuno cedimento alle obiezioni, nessuno spazio per i timori, per la paura di chi anche in Israele pensa che il completo assedio e l'occupazione della Striscia di Gaza saranno una tragedia umanitaria che rischia di precipitare il Paese in una avventura senza ritorno. “Contrariamente alle false affermazioni, questo è il modo migliore per porre fine alla guerra e farlo rapidamente. Lo faremo consentendo prima alla popolazione civile di lasciare in sicurezza le aree di combattimento per le zone sicure designate”. Secondo il premier “in queste zone sicure riceveranno cibo, acqua e cure mediche. Come abbiamo fatto prima”, aggiunge non curandosi di tutte le documentate accuse delle organizzazioni internazionali. E quando gli viene chiesto proprio delle preoccupazioni della Casa Bianca, il capo del governo israeliano insiste: “Diversamente dalle false affermazioni, la nostra politica durante la guerra è stata quella di prevenire una crisi umanitaria, mentre la politica di Hamas è stata quella di crearla. Dall'inizio della guerra, Israele ha lasciato entrare quasi 2 milioni di tonnellate di aiuti! Non conosco nessun altro esercito che abbia permesso a tali aiuti di andare alla popolazione civile in territorio nemico”.
Il comizio si interrompe quando gli viene domandato perché perfino Trump lo abbia rimproverato per il dramma umanitario: “Hamas ha saccheggiato violentemente i camion con i carichi destinati ai civili palestinesi. Hanno deliberatamente creato una carenza di approvvigionamento. E l'Onu ha costantemente rifiutato, fino a poco tempo fa, di distribuire le migliaia di camion che abbiamo lasciato entrare a Gaza attraverso l'attraversamento di Kerem Shalom”. Ma ancora una volta il primo ministro si contraddice. E’ infatti lo stesso Netanyahu a parlare della necessità di istituire “corridoi sicuri” per l’accesso e la distribuzione degli aiuti. Corridoi che, evidentemente, non ci sono stati nonostante la massiccia presenza militare israeliana nella Striscia.
Dei dissidi interni e delle preoccupazioni dell’esercito, il capo del governo non ha voluto parlare. Al contrario ha riconfermato i piani, assicurando di non voler fare nessun passo indietro: “Visto il rifiuto di Hamas a consegnare le armi, Israele non ha altra scelta che finire il lavoro e ottenere la sconfitta di Hamas. Abbiamo circa il 70-75 per cento di Gaza sotto il controllo israeliano, un controllo militare. Ma abbiamo due roccaforti rimanenti. Sono Gaza City e i Campi centrali e Al-Mawasi”. Parlando ai giornalisti il capo del governo ha affermato che Israele ”non ha altra scelta che portare a termine il lavoro e sconfiggere Hamas”, dato il rifiuto del gruppo di deporre le armi.
Le parole del leader israeliano a un certo punto sembrano rivolte agli elettori di estrema destra. “La tempistica che abbiamo fissato per l'azione è piuttosto rapida - ha aggiunto -. Vogliamo, prima di tutto, consentire la creazione di zone sicure in modo che la popolazione civile di Gaza City possa allontanarsi", ha aggiunto. Un esodo di massa che però non ha “scadenze precise, ma stiamo parlando di un calendario piuttosto breve, perché vogliamo porre fine alla guerra”. Secondo il premier, al contrario di quanto sostiene anche il capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Zamir, "possiamo raggiungere un risultato che salvaguardi la popolazione civile e colpire Hamas allo stesso tempo", incurante delle accuse per gli oltre 60 mila morti tra i gazawi. E contraddicendo se stesso arriva a sostenere che "non era il nostro obiettivo smantellare Hamas, ma adesso lo è". E per farlo “Gaza sarà smilitarizzata e Israele avrà responsabilità di sicurezza. Sarà istituita una zona di sicurezza al confine di Gaza con Israele per prevenire future incursioni terroristiche”. Musica per le orecchie dei coloni che aspettano di poter abitare la “zona di sicurezza” espandendo la presenza israeliana. E chi si occuperà di gestire quel che resterà della Striscia: “Verrà istituita un'amministrazione civile che cercherà di vivere in pace con Israele”. Ma fino ad ora nessuno dei Paesi arabi che Netanyahu avrebbe voluto coinvolgere si è fatto avanti, specialmente per la pregiudiziale esclusione dell'Autorità nazionale palestinese, da sempre ai ferri corti con Hamas.
Quanto ai Paesi che si apprestano a riconoscere lo Stato Palestinese e quei leader stranieri che non risparmiano critiche al governo di Tel Aviv, ”è impossibile - dice con teatrale meraviglia Netanyahu - immaginare o comprendere come persone intelligenti in tutto il mondo, tra cui diplomatici esperti, leader di governo e giornalisti stimati, cadano in questa assurdità".
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