L'emergenza climatica c'è, ma per l'Europa le contromisure possono attendere

Il target di riduzione delle emissioni è fissato al 90% nel 2040, ma potrà essere raggiunto «con molta flessibilità». Insoddisfatti gli ambientalisti. Von der Leyen: percorso pragmatico e realisti
July 1, 2025
L'emergenza climatica c'è, ma per l'Europa le contromisure possono attendere
Reuters | La vicepresidente della Commissione Ue, Teresa Ribera, responsabile del Green Deal
Eccolo, l’atteso target «intermedio» di riduzioni delle emissioni in vista della neutralità climatica nel 2050, già legge Ue in vigore: -90% emissioni rispetto ai livelli del 1990 nel 2040. Una cifra presentata ieri, in una Bruxelles insolitamente rovente con giornalisti e funzionari in magliette e camicie e maniche corte per resistere all’afa senza precedenti in un Paese solitamente fresco e piovoso anche in estate. Il testo, ha commentato il commissario all’Ambiente Wopke Hoekstra, «è stato preparato in un contesto geopolitico estremamente difficile», ma «mantenere la direzione sul clima fa senso da un punto di vista economico, di sicurezza ma anche geopolitico». La vicepresidente esecutiva Teresa Ribera (responsabile del Green Deal oltre che dell’Antitrust) ha lamentato la «codardia politica» dei politici, ricordando le temperature roventi dal Belgio alla Spagna o le alluvioni di pochi mesi fa. «Mi dispiace – ha avvertito – sarà molto più costoso se non agiamo». La proposta dovrà ora essere approvata a maggioranza qualificata dagli Stati membri e a maggioranza semplice dal Parlamento Europeo
La cifra del 90% era ampiamente attesa e preannunciata dalla stessa presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ma oggetto in questi mesi di una furiosa battaglia politica. Tant’è che l’annuncio è arrivato con circa due mesi di ritardo rispetto alle attese iniziali. La Francia e la Polonia si erano unite alle richieste di Budapest di rinviare la proposta, concentrandosi su un altro target, qui indicativo ma necessario in vista della conferenza Onu sul clima (Cop 30) a Belen, in Brasile, a novembre, e cioè il contributo di riduzione determinato a livello nazionale (Ndc dalla sigla inglese) per il 2035. Raccontano che lunedì, alla riunione dei capi di gabinetto dei vari commissari ci sia stata una furiosa discussione, con circa la metà di questi funzionari che premevano, a nome dei vari commissari, per un rinvio della proposta e un target più basso. Alla fine Von der Leyen ha scelto di indicare il 2040, sapendo che questo avrebbe influenzato l’Ndc, che dovrà esser pronto per settembre. Ricordiamo che invece il target 2030 (-55%) è già legge e, secondo la Commissione, l’Ue sta procedendo bene.
Soprattutto, se la cifra del 90% rimane, è annacquata grazie a «flessibilità» richieste a gran voce anzitutto da Italia, Francia, Germania, Italia, Polonia, Repubblica Ceca. Le critiche di molte ong ed esperti riguardano anzitutto un punto decisamente nuovo: la possibilità di scontare, fino a un massimo del 3%, dagli obblighi di riduzione di CO2 quelli che la Commissione definisce «crediti internazionali di alta qualità». In altre parole, progetti in Paesi terzi (per lo più in via di sviluppo) per ridurre le emissioni, come finanziare bus elettrici a Bangkok o impianti fotovoltaici in Marocco. A chiedere uno «sconto» del 3% è stata soprattutto, con insistenza, la Germania. «L’obiettivo (della neutralità di emissioni nel 2050 ndr) è chiaro – spiega Von der Leyen – il percorso è pragmatico e realistico». In realtà contro questo sconto si era schierato lo stesso panel di consulenti scientifici della Commissione. «L’integrità degli obiettivi nazionali – ha dichiarato lunedì Ottmar Edenhofer, il presidente del gruppo – non deve essere compromesso da queste attività internazionali». La Commissione ribatte che ci saranno rigorose condizioni contenute in una futura legge, a cominciare dall’aderenza degli Stati terzi interessati agli Accordi di Parigi sul clima, al vero valore aggiunto (devono comportare sforzi aggiuntivi di riduzione) e dell’equità (non devono sottrarre crediti ai Paesi implicati). Per questo tale opzione sarà disponibile solo dal 2036.
Tra le altre flessibilità, la possibilità di includere le rimozioni permanenti di CO2 nel sistema Ue di scambio di quote di emissione (Ets). «Ad esempio – spiega Hoekstra – una cartiera europea che immagazzina CO2 per la bioenergia può effettivamente generare e vendere quote, ricavando così profitti dall’Ets»: un modo per incentivare la cattura di questo gas serra. E, infine, anche la possibilità di consentire sforamenti in settori in cui è più difficile rispettare gli obblighi (ad esempio l’agricoltura) grazie a sforzi sovradimensionati in altri comparti (come traffico e rifiuti). «Vogliamo essere pragmatici, umili – ha dichiarato Ribera – ma allo stesso tempo fermi nella convinzione che questo sia il modo migliore per scommettere sull’industria e sulle persone». La Commissione, peraltro, ieri ha presentato anche una seconda proposta che prevede indennizzi per le imprese più svantaggiate dai cosiddetti dazi climatici (imposti a prodotti di Paesi terzi ad alte emissioni), la Cbam.
Mentre ong e scienziati protestano per la troppa flessibilità, soprattutto a destra c’è chi protesta per opposte ragioni. «È una follia estremamente dannosa» inveisce il ministro degli Affari Europei di Budapest Janos Bokas. La Lega parla di «ecotalebani», protestano pure i Conservatori (di cui fa parte FdI): il target del 90%, dicono, «mette l’economia dell’Europa a rischio». Soddisfatto il Ppe. Non sarà una battaglia facile.

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