Layan e i palestinesi in cella da anni senza accuse né processo

È l'unica cristiana detenuta. Fermata più volte per le attività studentesche, è finita nel “buco nero” delle prigionie indefinite. Più di tremila come lei
October 24, 2025
Layan e i palestinesi in cella da anni senza accuse né processo
Layan Nasir, la 25enne palestinese in attesa di giudizio
Layan ha 25 anni, gli ultimi due trascorsi in galera, senza accuse. Fino a una condanna a sette mesi, in un processo celebrato pochi giorni fa in sua assenza. È palestinese ed è cristiana. E come altri tremila non ha diritto di sapere quali prove ci siano contro di lei. Si chiama «detenzione amministrativa», una prassi giudiziaria israeliana che consente di trattenere chiunque per un tempo indefinito. Come Layan Nasir, cristiana anglicana di Bir Zeit, a nord di Ramallah, bloccata nel 2023 poco dopo essersi laureata in Scienze della nutrizione.  «È stata ingiustamente perseguitata per il suo pacifico e normale coinvolgimento nelle attività studentesche dell’Università di Bir Zeit», hanno scritto i suoi genitori in una lettera inviata a papa Leone XIV. Non era il suo primo arresto. Il 7 luglio del 2021 era stata portata nella prigione di Ofer. Neanche in quella circostanza c’erano prove contro la ragazza, che venne interrogata perché partecipava alle attività di un blocco studentesco di sinistra. Layan, rivendicò il diritto di tacere e venne poi rilasciata, con la promessa che si sarebbero rivisti. Pochi giorni fa è stata nuovamente arrestata. In sua assenza è stato celebrato un processo di cui non si sa quasi nulla. Solo che è stata condannata a sette mesi perché il gruppo di studenti identificati nel 2021 è stato messo fuori legge da Israele, come la gran parte delle associazioni giovanili palestinesi. La pena avrebbe dovuto essere scontata da novembre, ma Laya Nasir è stata arrestata preventivamente. Nota per il suo impegno con la Ymca, l’associazione internazionale dei giovani cristiani fondata a Londra nel 1844, Nasir era stata catturata dopo il 7 ottobre 2023 dalle forze israeliane insieme ad altri coetanei neolaureati. Una serie di raid in risposta al massacro di Hamas, con cui però gli studenti detenuti anche secondo chi li accusa non hanno mai avuto a che fare. «Una persona viene trattenuta senza processo senza aver commesso alcun reato, con la motivazione che intende violare la legge in futuro», spiegano da B’Tselem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori occupati. «Poiché questa misura ha natura preventiva, non ha limiti di tempo. La persona – chiariscono i legali di B’Tselem – viene detenuta senza alcun procedimento legale, sulla base di accuse che non le vengono rivelate».
I dati reali aggiornati nessuno li conosce. L’ultimo riferimento risale a dicembre 2024, quando il Servizio penitenziario israeliano (Ips) tratteneva 3.327 palestinesi in detenzione amministrativa. In Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est), la detenzione amministrativa è autorizzata dalle “Disposizioni di Sicurezza” israeliane contenute in una ordinanza che autorizza il comandante militare della Cisgiordania, o un altro comandante a cui sia stato delegato il potere di arresto, a sottoporre gli individui inizialmente a una detenzione amministrativa per un massimo di sei mesi consecutivi. Non servono accuse specifiche come il coinvolgimento a qualsiasi titolo in attività terroristiche. E il limite dei sei mesi è facilmente superabile. È sufficiente che il comando militare abbia «ragionevoli motivi» per ritenere anche in mancanza di prove che sia necessario «il mantenimento del detenuto in detenzione», prorogando l’ordinanza di detenzione amministrativa per ulteriori sei mesi «di volta in volta». In altre parole, «chi viene arrestato si trova di fronte ad accuse sconosciute senza possibilità di confutarle, senza sapere quando sarà rilasciato e senza essere incriminato, processato o condannato», aggiunge B’Tselem. La detenzione di Layam Nasir, a lungo senza capi di imputazione, avrebbe potuto essere interrotta se lei e la famiglia avessero promesso di lasciare per sempre la Palestina. «Rimaniamo saldi nel nostro impegno verso questa terra, luogo di nascita della nostra fede – hanno scritto i genitori nella lettera inviata al pontefice –. Non emigreremo. Non ci faremo mettere a tacere. Siamo determinati a continuare a testimoniare Cristo proprio nel luogo in cui Lui ha camminato». Mercoledì proprio a Bir Zeit una delegazione internazionale di una ventina di diplomatici si è recata a valutare lo stato delle violenze dei coloni israeliani. La delegazione è stata avvicinata da giovani israeliani armati che hanno cercato di allontanare i diplomatici, sotto gli occhi della polizia israeliana. Nessuno dei coloni armati è stato identificato né condotto al più vicino posto di polizia.

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