«L'antisemitismo non può essere oggetto di strumentalizzazione»

Il politologo Gabriele Segre interviene nel dibattito innescato dalle parole di Roccella sulle "gite ad Auschwitz": «Ha sbagliato, l'odio non sia usato a fini politici»
October 13, 2025
«L'antisemitismo non può essere oggetto di strumentalizzazione»
Svastiche apparse nel centro di Roma negli anni scorsi / ANSA
Le «gite» ad Auschwitz hanno avuto il compito di dire che «l’antisemitismo riguardava un tempo collocato in una precisa area: il fascismo». Per questo motivo «sono state incoraggiate e valorizzate». Queste le parole, pronunciate domenica dalla ministra della Famiglia Eugenia Roccella nel corso di un convegno dell'Unione delle comunità ebraiche italiane a Roma, che hanno suscitato polemica. La ministra nel suo intervento, infatti, ha aggiunto che «le gite scolastiche ad Auschwitz sono state un modo per ripetere che l’antisemitismo era una questione fascista e basta», condannando poi nella serata di domenica per spiegarsi meglio, «chi ancora oggi scatena la caccia all’ebreo nelle città e negli atenei dell’Occidente». Inoltre, ha aggiunto che «molto volentieri» andrà in audizione in Commissione Segre, «dove ogni dubbio potrà essere chiarito». Una richiesta che è arrivata domenica, ma anche ieri, da Fdi. Nel frattempo però le sue parole hanno suscitato l’indignazione della senatrice Liliana Segre, che si è detta incredula, e delle opposizioni, che hanno parlano di «insulto alla memoria», condannando ciò che ritengono una «lettura strumentale dell’Olocausto». La segretaria del Pd Elly Schlein ha chiesto alla premier Meloni una «una netta presa di distanza». Ieri nel dibattito si è inserita la fondazione Memoriale della Shoah di Milano, che ha accolto «con stupore» le parole della ministra. Secondo la fondazione «dipingere la visita a questi luoghi come frutto di un disegno politico di parte, limita prima di tutto la memoria delle vittime e rappresenta un falso storico». Mentre per la presidente della Fondazione Fossoli, Manuela Ghizzoni, «affinché l’efficacia delle azioni sia massima occorre che tutte le istituzioni operino in maniera compatta in tal senso, senza inviare messaggi contrastanti o ambigui». Ieri intanto la scrittrice Cecilia Parodi è stata condannata a un anno e 6 mesi, per “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale” e per diffamazione aggravata dall’odio razziale, per le parole pronunciate nei confronti della senatrice Segre. (A.Guer.)
Una «affermazione infelice quella di Eugenia Roccella. Grave e infelice come ogni volta che l'antisemitismo viene usato per una strumentalizzazione politica o anche solo per convenienza politica, come in questo caso» commenta Gabriele Segre, politologo e presidente della Fondazione Vittorio Dan Segre. «L’antisemitismo è una questione complessa che va oltre la politica e va compresa nel contesto storico in cui si è sviluppato e che ha trovato la sua massima espressione con l’Olocausto. L’antisemitismo è un disvalore assoluto, uno dei grandi suicidi della cultura europea: l’odio razziale non può essere oggetto di strumentalizzazione politica. Per questo ritengo che, al di là di qualsiasi analisi sottintesa, la ministra Roccella abbia sbagliato» prosegue Gabriele Segre, autore un anno fa del saggio "La cultura della convivenza", edito da Bollati Boringhieri.
Gabriele Segre, l'attacco alla sinagoga di Manchester del 2 ottobre ha riproposto il terrore dell'antisemitismo in Europa: un attentato a ridosso di impotenti manifestazioni per la fine della guerra a Gaza. Si possono intuire dei legami tra l’andare in piazza per la Palestina e questi episodi di terrore, ovviamente, sempre ingiustificato e contro civili inermi?
Il fatto che si possano intuire dei possibili legami non determinano in alcuna maniera il valore e le intenzioni della stragrande maggioranza delle persone che sono scese in piazza. Scendere in piazza è un atto importante e che ha delle conseguenze. La giusta e condivisibile critica alle politiche del governo israeliano a Gaza deve saper tener conto della complessità e delle implicazioni che si possono venire a creare. Scendere in piazza non deve essere, in nessuna maniera, l’occasione per creare alibi o attenuanti all’interno della nostra società pur essendoci stato un condivisibile moto di sdegno e di condanna nei confronti dell'azione di Israele: un'azione militare che ha superato i limiti del tollerabile in termini di violenza e di conseguenze umanitarie.
Dopo il 7 ottobre si è registrato un aumento degli episodi di antisemitismo: piccoli vandalismi, sfregio di lapidi, scritte insultanti. Da cosa nasce questa ostilità crescente?
È stato scatenato dalla violenza e dalle tragiche conseguenze umanitarie della guerra Gaza. Solo con il passar del tempo potremo rispondere alla legittima domanda se questi atti non abbiamo sollevato anche un velo di ipocrisia presente in alcune parti molto minoritarie, ma che creano sgomento: l’esistenza di un pregiudizio e di uno stereotipo ancora vivo nei confronti dell’ebraismo. Un antisemitismo magari inconsapevole ma che esiste. Per questo la guerra contro l’antisemitismo, così come la guerra contro qualunque odio pregiudiziale, lo stereotipato nei confronti di un di una minoranza non finisce mai. L’attenzione va tenuta alta, bisogna vigilare sempre. Ma certamente, in questi ultimi due anni, Israele ha avuto una responsabilità, Israele è venuta meno al suo compito storico che non è soltanto quello di difendere militarmente gli ebrei in Israele, ma anche quello di tutelare l’ebraismo mondiale. Come ha già detto in un’altra intervista ad Avvenire, questo è un errore grave di Israele, perché Israele sa qual è il suo ruolo e la sua responsabilità, sa anche come funziona l’antisemitismo e che non si può mai prestare il fianco alle sue inaccettabili motivazioni. La speranza è che, se tiene il cessate il fuoco, sperando nella fine della guerra, si possa partire con un processo di ricostruzione di Gaza e con il tempo, di elaborazione dei lutti che la popolazione palestinese e quella israeliana hanno subito. Israele, non con questo governo direi, ha poi il compito di ricostruire quell’autorevolezza che ha a che vedere con la sua capacità di tutelare gli ebrei nel mondo.
Episodi di antisemitismo sono opera di frange estremiste e minoritarie. Ma la celebrazione del “Giorno della memoria”, l’educazione civica nelle scuole, l’impegno di intellettuali, artisti, registi non ha prodotto “anticorpi” molto forti?
Ci sono degli anticorpi molto forti e la mia convinzione è che noi viviamo in una società che oggi non legittimerebbe l’odio per gli ebrei in nessuna maniera. Ma quegli anticorpi vanno alimentati. In questo momento di incertezza, il tema dell’antisemitismo torna di attualità. Per molto tempo, per fortuna, era il ricordo di un fenomeno sentito come ormai lontano dalla realtà. Ora l’antisemitismo pare tornato all’ordine del giorno: sarà utile dare solidità a quegli anticorpi, che secondo me ci sono, e osservare le risposte delle nostre società grazie anche, ce lo auguriamo, all’allontanamento da questa fase di atrocità così estrema. È il paradosso del lavoro culturale che quanto più urgente, tanto più può essere efficace.
Violenze episodiche che vanno a colpire le minoranze: a volte sono gli ebrei, a volte i migranti, a volte sono altri gruppi. Non potrebbe essere il frutto, più che di ideologie, di una rabbia cieca?
C’è sicuramente anche questo e i sociologi lo stanno descrivendo in maniera molto chiara. Una società che sta rappresentando in tutte le sue forme un momento di “vuoto pneumatico ideale”. L’antisemitismo è sempre stato il “canarino nella caverna”. È sempre stato quella forma di odio che ha preceduto la manifestazione di altri malesseri anche più profondi e più dilaganti. Fermo restando che l’origine di questi episodi di antisemitismo ha a che vedere anche con un comportamento molto concreto del governo israeliano. Tutto questo non giustifica assolutamente l’antisemitismo, ma concorre ad esserne una causa.

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