La "distensione dei decibel": Seul toglie gli altoparlanti anti-Pyongyang

Come gesto di buona volontà, la Corea del Sud ha deciso di rimuovere gli speakers lungo il 38esimo parallelo utilizzati per trasmettere musica e notiziari "di disturbo" in funzione anti-Core
August 4, 2025
La "distensione dei decibel": Seul toglie gli altoparlanti anti-Pyongyang
ANSA | Altoparlanti nordcoreani lungo il fiume Imjin, che attraversa il confine, a Kaepung, sul confine occidentale con la Corea del Sud. Pyongyang non ha ancora mostrato alcun segno di voler rimuovere i suoi speakers mentre Seul (Corea del Sud) ha iniziato a smantellarli
La Corea del Sud ci riprova. La determinazione del neopresidente Lee Jae Myung a distendere le relazioni con la Corea del Nord ha portato a una decisione affatto banale: spegnere gli autoparlanti installati al confine per diffondere i messaggi di propaganda contro il regime di Pyongyang. Il ministero della Difesa di Seul ha chiarito che la misura è puramente pratica: «Può contribuire a ridurre le tensioni senza compromettere la prontezza militare».
Ma tradisce la voglia di disgelo. Le due “sorelle” coreane, quella del Nord e quella del Sud, sono divise lungo il 38esimo parallelo dal Secondo dopoguerra. Tecnicamente, il conflitto tra il 1950 e il 1953, quello che ha sigillato la loro divisione e loro rispettive aree di influenza (socialista quella di Pyongyang, “atlantista” quella di Seul), è ancora in corso perché solo “congelato” da un armistizio e non risolto da un trattato di pace. Il ricorso ai messaggi urlati dai megafoni è una costante tipica delle loro relazioni.
La prima a farne uso fu proprio Seul quando nel 1963, mettendo in pratica una tattica appresa dagli alleati americani, cominciò a trasmettere lungo il confine notizie dal mondo, musica pop e pubblicità su democrazia e capitalismo. Il governo di Pyongyang, allora, rispose diffondendo rumori inquietanti, come l’ululato dei lupi, a spaventare il nemico.
La guerra degli altoparlanti è andata avanti per anni interrompendosi, sempre su iniziativa di Seul, in momenti di (apparente) distensione. La pausa del 2004, per esempio, durò fino al 2015 quando due soldati sudcoreani furono feriti dallo scoppio di una mina nordcoreana esplosa nella zona cuscinetto che separa i due Paesi. L’offensiva rumorosa fu di nuovo messa in “stand-by” tre anni dopo ma ripristinata l’anno scorso in risposta ai palloni pieni di spazzatura, quasi mille in poche settimane, lanciati da Nord sui cieli del Sud.
Il clima da guerra fredda è peggiorato con l’ampliamento del programma nucleare del dittatore nordcoreano Kim Jong-Un e dagli sforzi della Corea del Sud di rafforzare la cooperazione (anche militare)con Stati Uniti e Giappone. Il leader del governo di Pyongyang, estremamente sensibile a qualsiasi critica esterna al suo autoritarismo, non ha commentato l’apertura offerta da Lee. Eloquente è stata invece l’uscita con cui, la scorsa settimana, la sorella del dittatore, Kim Yo Jong, ha fatto sapere che la «fiducia cieca» di Seul verso gli Usa rendevano l’attuale governo «indistinguibile» rispetto a quello del presidente precedente, il conservatore Yoon Suk Yeol, noto per la sua linea dura verso il Nord.
Parole che non lasciano margini all’interpretazione: la Corea del Nord, sempre più vicina alla Russia di Vladimir Putin, anche in merito alla guerra in Ucraina, non sente alcuna esigenza di riprendere il dialogo con Seul (tantomeno con Washington). L’iniziativa di Lee piace, in particolare, ai coreani che vivono a ridosso del confine e che, adesso, potranno godersi il silenzio. La musica e messaggi gridati, giorno e notte, mancheranno invece a chi, così sottolineano alcune associazioni per i diritti umani, li considerava come un promemoria di liberà. «Gli altoparlanti erano un ponte vitale verso il popolo nordcoreano, spegnerli significa rafforzare gli sforzi di Kim Jong-Un di tenerlo isolato», ha sottolineato Hana Song, direttrice del Database Center for North Korean Human Rights. L’esperta non ha nascosto una preoccupazione: c’è il rischio, ha avvertito, «che si torni ai tempi dell’accondiscendenza».

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