La Chiesa accanto ai prigionieri ucraini: «L’impegno per riportarli a casa»
Trenta donne con mariti e figli catturati in guerra e portati in Russia incontrano il Papa e il cardinale Zuppi. 7mila solo i militari. «Vengono condannati da Mosca per non essere rimpatriati»

In mano tiene la foto di suo zio che ha sullo sfondo la bandiera dell’Ucraina e accanto una scritta: «Loro hanno difeso il Paese. Ma chi difenderà loro?». «Si chiama Mikola Yurkiv. È prigioniero dei russi dal settembre 2024», spiega Victor Mocreac. Studente delle superiori, è originario di Leopoli. «Come lo zio», tiene a far sapere. Mostra lo scatto a Leone XIV mercoledì al termine dell’udienza generale. E ieri al cardinale Matteo Zuppi, impegnato nella missione umanitaria nata da un’intuizione di papa Francesco per far dialogare Kiev e Mosca su detenuti, bambini e caduti di guerra e confermata dal nuovo Pontefice. Accanto a Victor ci sono la mamma Oksana e altre trenta donne che vivono sulla loro pelle una doppia tragedia: quella della guerra e quella di avere un parente catturato dall’esercito di Mosca oppure disperso sui campi di battaglia.

Trenta madri, mogli o sorelle “coraggio” che sono arrivate in Italia dalla nazione sotto le bombe per affidare il loro dramma nelle mani del Papa che incontrano sul sagrato della Basilica di San Pietro, e per incoraggiare l’azione di Zuppi, il porporato che «ha contribuito a far tornare a casa tanta nostra gente dalla Russia», ripete Oksana. Accompagnate dalla vice-premier ucraina, Iryna Vereshchuk, e dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andriy Yurash, raccontano le loro storie a Leone XIV, nel breve tempo concesso alla delegazione, e a Zuppi. «La Chiesa sta facendo tutto il possibile. Anzi, aumenterà gli sforzi», assicura il cardinale, secondo quanto riferiscono le donne. Perché, aggiunge il porporato, «resto convinto che la guerra finirà non soltanto quando taceranno le armi ma anche quando l’ultimo prigioniero potrà riabbracciare la sua famiglia». A lui vengono consegnate nuove liste di nomi da “recapitare” a Mosca e da inserire negli scambi che sono concordati fra le due capitali. Negli elenchi anche molti giovanissimi, nati fra il 2001 e il 2003. «Grazie all’impegno vaticano e al lavoro congiunto con la Santa Sede, sono già stati raggiunti risultati significativi. E siamo sicuri che potranno essere superati gli ostacoli che ancora restano», chiarisce ad Avvenire l’ambasciatore Yurash. Soltanto i militari ucraini che sono in isolamento nei territori russi sarebbero 7mila.

In una delle liste c’è il nome di Mikola, militare della 41ª Brigata meccanizzata. «È stato catturato nella regione di Kursk», ripercorre la sorella Oksana. L’oblast russa che l’esercito ucraino ha occupato per quasi un anno, pagando un prezzo di sangue altissimo, fino a essere quasi del tutto riconquistata dal Cremlino. «Per Mosca i soldati che hanno partecipato all’incursione non sono prigionieri di guerra, ma terroristi. Finiscono in tribunale; vengono condannati ad anni e anni di carcere; e queste sentenze illegali li escludono dagli scambi e quindi dai rimpatri», sottolinea Oksana. Lei ha fondato l’associazione “Con la fede nei cuori”. Raccoglie 560 famiglie che affrontano lo stesso orrore. «Abbiamo fede nel bene e nella preghiera - dice -. Ogni giorno preghiamo per il rientro dei nostri cari o per ricevere informazioni su di loro». Perché ufficialmente anche suo fratello è un “desaparecido”. «È stato preso ma non sappiamo dove sia». Come il fratello di Ludmila Kubisktal: il soldato Ruslan Chercavskyi. «Scomparso a Chasiv Yar due anni fa», racconta la donna. È la cittadina nella regione di Donetsk caduta in mano russa ad agosto dopo essere stata rasa al suolo. «Il Cremlino sta rallentando gli scambi - dichiara la vicepremier -. Ma ciò che il nostro popolo teme di più è che con il cessate il fuoco la questione dei prigionieri di guerra venga dimenticata».

Con le voci soffocate dall’emozione e dalle lacrime, le donne confidano a Zuppi le loro «sofferenze» e le loro «speranze», dirà alla fine il porporato per sintetizzare il dialogo con loro. Come quelle delle famiglie dei difensori di Mariupol, la città nella regione di Donetsk strappata dalle truppe di Putin a maggio 2022 dopo settimane di assedio e bombardamenti. «I nostri cari sono tenuti in condizioni disumane in Russia», ripete Nataliia Kravtzova, moglie di uno dei militari del battaglione Azov: più di 700 sono prigionieri in Russia. È lei che chiede al cardinale di «poter far arrivare le Bibbie nelle celle perché sono un sostegno spirituale» e che annuncia di avergli dato le «lettere dalla prigionia: uno spiraglio in un buio terrificante». Eppure, prosegue, anche chi ha combattuto a Mariupol «viene condannato con pene fino all’ergastolo. Si tratta di una vendetta di Putin per fermare i ricongiungimenti». Cateryna Viktorzchievska è la voce di quelle mogli che hanno i loro uomini «segregati nelle più remote regioni della Russia. Un altro inverno lì rischia di essere l’ultimo per loro». Ed è Olga Dovganiuk, sorella di un militare catturato, a riferire delle «torture di tutti i tipi che subiscono i detenuti».

«Mio figlio è un medico detenuto. Abbiamo perso le sue tracce due anni fa», sussurra Maria Lyzchniova. Sono migliaia i parenti nelle sue stesse condizioni. E la donna denuncia: «Gli scambi dei civili sono molto complicati». «Mi impegno a farvi giungere notizie e a favorire il ritorno dei civili», rassicura Zuppi, secondo quanto rende noto l’ambasciatore. Altro caso è il recupero dei corpi dei caduti. «Le salme non vengono riconsegnate - spiega Cateryna Nazariy -. Vorremmo che Mosca istituisse gruppi di ricerca nei territori occupati». Ed è unanime la richiesta che «i nostri prigionieri possano essere visitati nei luoghi di reclusione». Eventualità che finora la Russia ha sempre escluso ma che è nell’agenda della mediazione della Santa Sede.
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