Kiev, schegge colpiscono l'ambasciata vaticana. Dagli Usa ancora tempo a Putin
di Nello Scavo
Nel raid sulla capitale preso di mira anche il quartiere diplomatico, poche ore prima del vertice di Roma. Usa, Rubio propone al Cremlino «nuove idee», ma ammette che «non porteranno subito la pace»

A Kiev in questi giorni non si dorme più. L’unica concessione di Vladimir Putin è attaccare quando è in vigore il coprifuoco: 2 civili uccisi e 25 gravemente feriti solo nella capitale bersagliata con il resto dell’Ucraina martellata da 397 droni, per metà velivoli esca lanciati per stanare le posizioni della contraerea e per l’altra metà ordigni kamikaze inviati a copertura di 14 missili. I raid hanno colpito perfino il quartiere diplomatico, intoccabile secondo il diritto internazionale. Uno dei droni è esploso a una cinquantina di metri dalla nunziatura apostolica. Le schegge hanno danneggiato una parte del tetto e altri manufatti. Nessuno è rimasto ferito. Durante l’ondata di attacchi il nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas e il personale della rappresentanza vaticana erano al riparo all’interno dell’edificio.
«Questa è una chiara escalation del terrore da parte della Russia, centinaia di “Shahed” ogni notte, attacchi costanti e attacchi massicci alle città ucraine», ha reagito da Roma il presidente Volodymyr Zelensky. E sembra quasi che colpendo Kiev, il Cremlino parli alla Conferenza italiana. Perché di questo passo i 12 miliardi stanziati per rimettere in piedi l’Ucraina, potrebbero non bastare se il conflitto dovesse perdurare. La guerra è anche contro tra spie. Un colonnello dei servizi segreti ucraini è stato ucciso con cinque colpi di pistola proprio a Kiev, dove l'assalitore a volto coperto, ripreso da alcune videocamere di sorveglianza, è poi fuggito. Diversi osservatori ritengono si tratti di una rappresaglia del Cremlino dopo che l'intelligence ucraina ha colpito agenti di Mosca sul territorio russo.

A gelare le speranze è arrivato l’incontro tra il segretario di Stato americano Rubio e il ministro degli Esteri russo Lavrov, in grado ancora una volta di guadagnare tempo e fare arrendere allo spartito di Putin la diplomazia di Washington. E’ stato proprio Marco Rubio a rendere noto di avere presentato nel corso del colloquio di 50 minuti a Kuala Lumpur, una novità per la soluzione della guerra in Ucraina. «Non si tratta di un nuovo approccio. E’ una nuova idea o un nuovo concetto - ha affermato il segretario di stato - che riporterò al presidente Trump perché ne possa discutere». Mosca non smentisce, e incassa la parte finale della dichiarazione, la più importante: la misteriosa «nuova idea» offerta da Rubio a Lavrov «non porta automaticamente alla pace, ma qualcosa - riferisce l’uomo di Washington - che potrebbe aprire potenzialmente la porta a un percorso».
Musica per le orecchie di chi ha bisogno di guadagnare tempo e chilometri sul terreno. Senza colpi di scena, l’intera estate se ne andrà di battaglia in battaglia. I numeri di ieri lo confermano e il bilancio dei primi tre giorni della settimana porta a oltre duemila i soli attacchi dal cielo, mentre i radar a calare del sole segnalano decine di droni esca sul fianco Est e fino a Nord, a tal punto che uno dei finti Shahed è precipitato in Lituania, dopo essere andato fuori controllo. Un segnale che ha messo in allarme l’intera regione europea del Baltico. Il velivolo, fatto di compensato e schiuma espansa, alla lunga distanza appare del tutto simile ai droni assassini, non di rado costringendo i sistemi di difesa a intervenire, scoprendo le posizioni. La tecnica di attacco russa è oramai corroborata, e spesso non lascia tempo di riorganizzare le difese quando i veri Shahed di fabbricazione iraniana, ma ultimamente assemblati in Russia, si gettano a capofitto sugli obiettivi.
Che le tensioni Mosca-Washington siano al di sotto di quanto le ondivaghe minacce di Trump farebbero credere, lo dimostra un’altra “idea”, stavolta di Lavrov. Con Rubio si è trovato d’accordo sulla necessità di «trovare soluzioni pacifiche ai conflitti, ripristinare la cooperazione economica e umanitaria bilaterale e mantenere contatti fluidi tra le società di entrambi i Paesi», ha spiegato il ministero degli Esteri russo, non smentito da quello Usa. Un scambio, di questa portata «potrebbe essere facilitato, in particolare, dalla ripresa del traffico aereo diretto». Non è una mossa da poco. «Se gli americani accettassero, per noi sarebbe la fine», reagisce schiumando rabbia il tenente Igor, a capo di una squadra di dronisti ucraini nella regione che affaccia sulla Crimea occupata e da cui vengono fatti decollare aerei radiocomandati e razzi che martellano la fascia costiera. «Se dovessero ricominciare i voli con l’America - osserva dal suo punto di vista di soldato stanco - noi dovremmo sospendere gli attacchi in territorio russo e fino a Mosca per evitare incidenti aerei. Però Putin può continuare a colpirci dall’alto e da terra».
Appena ieri il sindaco di Mosca ha dichiarato che le difese aeree russe hanno abbattuto tre droni ucraini diretti verso la capitale. Mentre lo stato maggiore del Cremlino continua a sostenere di aver colpito esclusivamente «legittimi obiettivi militari-industriali» a Kiev. Nega di aver preso di mira i civili: un neonato è stato ucciso da un’esplosione mentre con la famiglia cercava riparo tra le mura domestiche. Nel sud danno per scontato che l’attacco sia imminente e dopo due giorni di tregua Odessa non verrà risparmiata. Tanti si erano disabituati a tornare nei rifugi, sfidando la malasorte e sperando che i colpi cadessero lontano. Ma i raid su Kiev sono una più di una minaccia per il resto del Paese: un sinistro messaggio anche per chi a Roma sta discutendo di come fermare la guerra di Putin.
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