Iniziata la distruzione: il Pkk dice addio alle armi
Trenta militanti hanno consegnato i loro armamenti in una caverna tra le montagne nei pressi di Suleymaniye, nel Kurdistan iracheno: è la fine di un'era. Erdogan ora vuole l'appoggi dei curdi

Una cerimonia scenografica, alla quale hanno partecipato anche i deputati del Dem, il partito curdo nel Parlamento turco. Il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan ha iniziato concretamente la sua rinuncia alla lotta armata. Circa trenta militanti hanno distrutto le loro armi in una caverna tra le montagne nei pressi di Suleymaniye, nel Kurdistan iracheno, dove per anni di sono rifugiati dagli attacchi dell’aviazione turca.
Si chiude così una guerra fra l’organizzazione separatista e Ankara durata 47 anni. Era il 1978 quando Abdullah Ocalan fondò il Pkk, diventando anche il leader indiscusso della minoranza, che in Turchia conta oltre 15 milioni di persone, e il portavoce delle sue rivendicazioni. La lotta armata è costata 50mila vittime, non di rado civili e a volte curdi. Ed è stato lo stesso Ocalan, che dal 1999 è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Imrali, a patteggiare lo scioglimento della sua creatura. La mossa è partita dal Partito Nazionalista, il MHP, che ha rinunciato alla sua posizione intransigente, d’accordo con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che rappresenta il secondo grande protagonista di questo che è, a tutti gli effetti, un momento storico, dettato, però, più da convenienza che da altre motivazioni.
Il Pkk è stato molto indebolito dalla presenza, sempre più pervasiva, nella Mezzaluna nel nord della Siria. Gli scambi sempre più difficili con i curdi dello Ypg ha diminuito la capacità di azione del gruppo turco. In più, il Nord Iraq, che ha sempre fornito soprattutto appoggio logistico, ha preso sempre più le distanze, per non inimicarsi Ankara. Dall’altra parte, il presidente Erdogan è sempre più debole, con il suo partito ai minimi storici. L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, ha provocato molte proteste nel Paese, alle quali hanno partecipato anche i curdi. Per cambiare la Costituzione e candidarsi a un terzo mandato, Erdogan ha bisogno dei voti del partito curdo in Parlamento. È questa la merce di scambio. Da una parte i voti, dall’altra la liberazione di Ocalan e quei riconoscimenti costituzionali che la minoranza aspetta da decenni. Un compromesso storico del quale rischia di fare le spese il resto dell’opposizione, a partire dal Partito Repubblicano, che non ha mai trovato il coraggio di fare sponda con i curdi e che deve regalare questo trionfo a Erdogan.
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