In Afghanistan le donne sotto le macerie del terremoto non vengono soccorse
Le regole dei taleban impediscono ai soccorritori maschi di toccare chi è rimasta sepolta: nemmeno il dramma scuote le discriminazioni di genere

Nemmeno il terremoto scuote la discriminazione di genere nel tormentato Afghanistan, che registra il più elevato tasso di emarginazione femminile al mondo. Frutto di consuetudini tribali a cui l’islam è stato piegato pur venendo sbandierato da taleban come giustificazione del loro potere. Una ideologia di dominio che ha al centro la supremazia dei pashtun sulle altre etnie, dei sunniti sugli sciiti e le altre fedi, dei maschi sulle femmine, dell’arretratezza sul progresso.
Sul campo, operatori umanitari e testimonianze della popolazione – riportate dal New York Times – evidenziano come la proibizione di contatti tra uomini e donne che non abbiano rapporti di parentela stia portando molte afghane a non potere essere soccorse. Rischiando la vita tra le macerie. Il motivo? Ogni contatto è vietato. Il salvataggio può avvenire solo tirando le donne per i vestiti. Ma non basta. Resta ignoto il numero di quante donne rischino cancrene o infezioni anche solo per ferite non curate, perché viene loro preclusa la possibilità di salire sugli elicotteri che stanno danno un contributo fondamentale alla evacuazione dalle aree più isolate delle province interessate dal sisma che ha colpito l’Est del Paese domenica notte.
Ancora una volta il mondo deve accettare, mentre accoglie le richieste di soccorso del regime taleban, che una parte consistente della popolazione afghana venga discriminata perché sia consentito di salvare altre centinaia di vite. Sotto un ricatto ormai collaudato, se l’arretratezza, la povertà, le malattie non distinguono in tempi normali l’appartenenza sessuale nel Paese asiatico, persino nella catastrofe e nella morte che aleggia sulle valli del Kunar, “l’altra metà del cielo” vive la sua partita da sola e nel silenzio. Spesso si cita lo “spartiacque” che la ritirata ingloriosa dei contingenti militari stranieri nell’agosto 2021 ha tracciato dopo un ventennio difficile ma in cui le donne avevano avuto, forse mai come prima, dai tempi della monarchia potuto accedere a diritti, impieghi e autonomia. Nel contesto afghano sicuramente una evoluzione ma che è rimasta incompiuta prima che il riflusso dei taleban riportasse tutto al punto di partenza.
Prima di quei giorni confusi e drammatici, il 15 per cento della forza lavoro era femminile, oggi la quota è scesa a meno del cinque per cento. Prima di quattro anni fa il 30 per cento delle donne partoriva molto giovane a causa anche del fenomeno delle spose bambine. Oggi le previsioni segnalano un aumento del 45 per cento di quel dato entro il prossimo anno e quello della mortalità per parto vedrà un incremento di oltre il 50 per cento. Indicatori di un peggioramento della condizione femminile, come conferma il dato del 78 per cento di giovani afghane escluse da istruzione, impiego o addestramento professionale. Con un impatto sul Paese che si stima pesi per il 2,5 per cento sul Prodotto interno lordo nazionale. Alla fine, questo pone un ulteriore fardello sulle donne garantendo loro ancora meno fondi per l’assistenza che si traduce con una durata media della vita in calo e condizioni di salute sempre più precarie.
A questo proposito, va segnalato che tra le poche professioni a cui le donne sono ancora ammesse vi sono quella medica e infermieristica, il cui accesso futuro è però negato dal bando imposto lo scorso dicembre agli studi di medicina, riservati ai soli uomini.
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