I media turchi: ecco come è stato massacrato il reporter saudita

Erdogan incontra il segretario di Stato Usa Pompeo di ritorno da Riad. L'appoggio americano al re e al principe ereditario MbS, che non si scrolla di dosso l'accusa di aver fatto uccidere Khashoggi
October 16, 2018
I media turchi: ecco come è stato massacrato il reporter saudita

Il ruolo di Mohammed bin Salman

La notizia è che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS) è riuscito a mettere in imbarazzo persino Donald Trump, alleato finora acritico della monarchia di Riad. Nelle ore in cui il “caso Khashoggi” prende contorni più definiti e, forse, definitivi, è necessario domandarsi quali ripercussioni avrà la scomparsa del celebre giornalista saudita sugli equilibri di potere nel Regno. Perché un dato è certo: qualunque ricostruzione le autorità saudite sposino come versione «ufficiale», la leadership del 33enne erede al trono esce più che ammaccata dai fatti del consolato saudita di Istanbul, da cui Jamal Khashoggi non è più uscito dopo esservi entrato il 2 ottobre scorso. Proprio l’inaccettabile fine del giornalista, divenuto critico nei confronti di MbS dopo aver fatto parte, per decenni, dell’establishment precedente all’ascesa di re Salman e figlio, restituisce un messaggio: la leadership di Mohammed bin Salman si è molto indebolita, innanzitutto, per i suoi tanti strappi in politica interna e regionale, così tanto da sentirsi minacciata dagli articoli di un giornalista (seppur un insider dei giochi di potere sauditi). Insomma, l’atto di forza dei sauditi nei confronti di Khashoggi si è rivelato un terribile (in tutti i sensi) autogol, un segno di debolezza, a dispetto della hybris spesso mostrata da colui che dovrebbe diventare re. ù
Prima dei politici, si sono mossi gli investitori, con una raffica di cancellazioni dalla Future Investment Initiative, la conferenza di fine ottobre che dovrebbe riunire il gotha della finanza e dei media internazionali a sostegno della diversificazione economica “oltre il petrolio” dell’Arabia Saudita: è qui che Riad ha capito che la vicenda stava generando danni ai limiti del rimediabile. Infatti, quasi quattro anni di intervento militare saudita in Yemen (compreso l’embargo, le tante vittime civili e la carestia in atto), insieme agli arresti ed esecuzioni di attivisti in patria, non hanno sortito neppure la metà di ciò che la sparizione di Jamal Khashoggi sta smuovendo nei circuiti finanziari- mediatici-diplomatici di tutto il mondo. Ora più che mai, Riad non può fare a meno degli investimenti esteri: MbS ha puntato tutto, trono compreso, sul successo di “Vision 2030”, ma il percorso di diversificazione, già problematico, rischia di complicarsi. Riad ha ripristinato i tagli a stipendi e benefit del settore pubblico, il Pil si è contratto dello 0,7% nel 2017, la quotazione in Borsa del 5% di Saudi Aramco è stata rimandata, la fuga dei capitali ha raggiunto gli 80 miliardi di dollari nel 2017, “Neom” rimane un progetto affascinante ma vago (la costruzione partirà solo nel 2020). I dati certi non sono positivi: l’Iva al 5%, in vigore da gennaio, ha portato nelle casse di Riad introiti inferiori alle attese, così come le retate anti-corruzione che hanno spaventato gli investitori e spaccato la famiglia reale. Più di 300mila lavoratori stranieri hanno lasciato il Paese a causa delle politiche di “saudizzazione del lavoro”: ma i giovani sauditi, che spesso hanno livelli di istruzione superiori alle richieste del mercato interno, non occupano quei posti. L’Arabia Saudita, nella sua storia di monarchia assoluta, non è mai stata, però, il Paese di un «uomo solo al comando ».

La marginalizzazione dei religiosi

Le scelte politiche, graduali e mai improvvise come nell’era di MbS, sono sempre state il frutto di mediazioni e accordi interni alla famiglia reale, per preservare il delicato equilibrio fra gerarchie wahhabite, famiglie tribali influenti e principi senior. Esattamente il contrario di ciò che Mohammed bin Salman, con l’appoggio del padre, ha compiuto finora, marginalizzando i religiosi sunniti, arrestando noti businessmen e destituendo importanti figure reali (come lo zio). E se nel medio-lungo periodo, come il “caso Khashoggi” dimostra, la condotta divisiva e avventurista di MbS può diventare un handicap, invece che una risorsa, per l’intero Regno, non sorprenderebbe se il primo tentativo di arginarlo provenisse dalla stessa famiglia reale, già in fermento. Da una prospettiva geopolitica, la vicenda del giornalista scomparso è una brutta notizia anche per Trump, che non riesce a fare fronte comune in Medio Oriente contro l’Iran (con gli iraniani che invece possono assistere soddisfatti a come i sauditi sanno farsi del male da soli). Ed è una pessima notizia anche per i tanti “spin doctor” che dovranno convincere gli investitori, specie americani, che rimanere a Riad ha un prezzo che si può ancora pagare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA