Hamas prende tempo sulla tregua. L'attacco frontale di Israele a Macron

Il gruppo terroristico non ha ancora dato una risposta sul piano americano per Gaza: tregua di 60 giorni e detenuti in cambio di alcuni degli ostaggi. Trump assicura: «Vicini all’intesa»
May 29, 2025
Hamas prende tempo sulla tregua. L'attacco frontale di Israele a Macron
Reuters | Civili terrorizzati si allontanano dal luogo dell’esplosione di una bomba su una casa della zona centrale di Gaza City, che anche ieri è stata attaccata dai caccia israeliani
La tregua che a parole tutti vogliono, neanche in serata è stata annunciata. «Siamo molto vicini, avrete notizie presto», fanno sapere fonti dell’amministrazione Usa adombrando la svolta entro sabato. Non è la prima volta che agli annunci segue un nulla di fatto. I più ottimisti speravano nelle dichiarazioni notturne di Donald Trump. Per tutto il giorno Hamas ha preso tempo e dopo gli iniziali tentennamenti ha fatto sapere di avere avviato consultazioni con le altre fazioni armate di Gaza. Non è una questione da poco. I gruppi affiliati della principale organizzazione estremista della Striscia controllano ciascuno un esiguo numero di ostaggi, in vita o uccisi nella guerra che ha superato il 600 giorni. Il resto è sotto la sorveglianza diretta di Hamas. Per i raggruppamenti minori, consegnare gli ultimi ostaggi vuol dire perdere una potente arma negoziale sia con Israele ma soprattutto all’interno della stessa galassia estremista dei rapporti di forza che si fondano anche sulla gestione dei sequestrati israeliani.
Fino a quando da Doha non arriverà un «no», molti continuano a sperare. Dalla capitale del Qatar i referenti politici di Hamas sono in contatto con i mediatori di Usa, Egitto, Qatar e Turchia. Le notizie che trapelano sono altalenanti, secondo la studiata regia psicologia dei fondamentalisti. In mattinata le voci dei «possibilisti» sono state silenziate da altre fonti palestinesi secondo cui Hamas «in linea di principio» non respinge la proposta Usa ma ne chiede alcune modifiche. Fino alla serata di ieri il Forum delle famiglie degli ostaggi ha atteso una risposta che potesse riaprire spiragli per la restituzione dei civili israeliani. L’ultimo dei punti proposti dagli Usa è una sorta di concessione mediatica. Se approvato, «il Presidente Trump annuncerà personalmente l’accordo di cessate il fuoco». Un doppio sigillo per “The Donald”. Potrà dire di avere, se non fermato, almeno interrotto una guerra.
Gli Usa inoltre fanno non solo da garanti, ma da promotori dell’accordo. In altre parole: un «no» alla proposta equivale a un «no» a Washington, che a quel punto lascerebbe mano libera a Israele. L’estrema destra governativa a Tel Aviv del resto è stata chiara. «È tempo di entrare con tutta la forza, senza esitazioni, per distruggere e uccidere Hamas fino all’ultimo uomo», ha scritto il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir. «Gli assassini di Hamas – ha rimarcato il ministro della Difesa Israel Katz – devono ora scegliere: accettare i termini dell’accordo Witkoff per il rilascio degli ostaggi o essere distrutti». A confortare l’ultradestra e lo stesso Netanyahu ci sono i sondaggi, come quello della Pennsylvania State University rilanciato dal quotidiano Haaretz secondo cui l’82% degli ebrei israeliani è favorevole alla deportazione dei palestinesi di Gaza. Quando agli intervistati è stato chiesto se l’esercito israeliano, nel conquistare una città nemica, debba agire «uccidendo tutti i suoi abitanti», rievocando la narrazione biblica della conquista di Gerico, il 47% ha risposto «sì». I ricercatori hanno in particolare segnalato come questi sentimenti siano trasversali: circa il 70% degli ebrei laici, di frequente genericamente indicati come liberali o moderati, si dichiara favorevole alla deportazione. Tra gli ultraortodossi il sostegno supera il 90%.
Il “punto 3” della proposta americana contiene una implicita accusa alle autorità israeliane. «Gli aiuti saranno inviati a Gaza immediatamente dopo che Hamas avrà accettato l’accordo di cessate il fuoco». Inoltre, i soccorsi «saranno distribuiti attraverso canali concordati che includeranno le Nazioni Unite e la Mezzaluna Rossa». Se per un verso vuol dire tenere sul terreno i contractor armati della controversa Gaza humanitarian foundation, per l’altro significa ammettere che gli aiuti vengono utilizzati come arma negoziale.
L’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha definito ieri Gaza come l’unico posto al mondo dove il 100% della popolazione è a rischio di fame». Jens Laerke, portavoce dell’Ocha, ha spiegato che si tratta dell’unica «area demarcata, un Paese o un territorio definito all’interno di uno Stato, dove l’intera popolazione è a rischio di fame».
Le azioni militari non si fermano e le forze israeliane, in vista di una possibile tregua, stanno accelerando le operazioni per indebolire Hamas e ostacolare la riorganizzazione dei fondamentalisti durante il cessate il fuoco. Un portavoce dell’Idf, le forze di difesa di Tel Aviv, ha annunciato il ritrovamento di oltre 800 bombe e altre armi nascoste in diversi edifici nella Striscia di Gaza, aggiungendo che diversi tunnel per una lunghezza complessiva di oltre un chilometro, sono stati scoperti e distrutti. Alcuni degli ordigni esplosivi erano stati occultati all’interno di sacchi di aiuti precedentemente usati dall’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi.

Le accuse di Israele a Macron: «Una crociata contro di noi»

I toni dello scontro verbale e diplomatico intanto hanno ormai raggiunto livelli elevatissimi: Israele ha accusato il presidente francese Emmanuel Macron di aver intrapreso una «crociata contro lo Stato ebraico», dopo che ha chiesto ai Paesi europei di inasprire la loro posizione nei confronti di Israele se la situazione umanitaria a Gaza non fosse migliorata. «Non esiste alcun blocco umanitario. Questa è una palese menzogna», ha dichiarato il ministero degli Esteri israeliano in una nota dai toni forti ai media internazionali, difendendo i suoi sforzi per consentire l’ingresso degli aiuti. «Ma invece di fare pressione sui terroristi jihadisti, Macron vuole ricompensarli con uno Stato palestinese. Non c’è dubbio che la sua festa nazionale sarà il 7 ottobre».

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