Francia, dimissioni lampo di Lecornu. Elezioni all'orizzonte

Macron più solo che mai, in mezzo a una tempesta politica senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica: "Altri 3 giorni per trattare, poi assumerò le mie responsabilità".
October 6, 2025
Sebastien Lecornu davanti a un microfono, con un'espressione tesa, la fronte corrugata. Alle sue spalle le bandiere francese e dell'Ue
Il primo ministro francese Sebastien Lecornu: a meno di ventiquattr'ore dalla presentazione dei ministri, il suo governo è stato sfiduciato in Parlamento/ REUTERS
Come in una favola di La Fontaine, la Francia ha appena conosciuto un ‘governo fantasma’ durato una sola notte, prima di svanire al mattino dopo appena 836 minuti. A lungo atteso e finalmente annunciato domenica sera, l’esecutivo doveva riunirsi ieri pomeriggio, attorno al tandem composto dal premier 39enne Sébastien Lecornu e dal presidente 47enne Emmanuel Macron. Ma il primo, proprio ieri mattina, ha rassegnato le dimissioni, travolto in poche ore da un turbine di attacchi dai partiti. Il secondo, più che mai nell’occhio del ciclone, è stato invece sorpreso, nelle stesse ore mattutine, fra i turisti a passeggio sui lungosenna parigini. Come se le mura dell’Eliseo fossero divenute pericolanti. Ma questo spettacolo istituzionale alquanto surreale non diverte affatto i francesi, consapevoli dei pesantissimi contraccolpi dell’instabilità.
Domenica sera, dopo giorni di trattative, era stata diramata la lista dei 18 ministri chiamati a trovare il filo di Arianna per l’uscita dal labirinto. Non una squadra nuova, a parte gli avvicendamenti all’Economia, con l’arrivo di Roland Lescure, e alla Difesa, con il ritorno di Bruno Lemaire. Per il resto, un calco del governo uscente dell’ex premier centrista François Bayrou, già rovesciato in Parlamento. Di che aprire in un battibaleno un nuovo vaso di Pandora, fra i tre grandi blocchi parlamentari: ultradestra, macroniani, sinistra.   
Tanto i lepenisti, quanto il Partito socialista, hanno promesso una nuova sfiducia. Ma l’attacco più umiliante per Lecornu è giunto da un membro stesso dell’esecutivo, il ministro dell’Interno Bruno Retailleau, che ha indossato il secondo ‘cappello’ di presidente dei Repubblicani, il partito neogollista, da mesi nella cordata al fianco dei macroniani. «La composizione del governo non riflette la rottura promessa», ha lanciato il leader, polemico anche sul ritorno di Lemaire. Un vero schiaffo per Lecornu, cresciuto politicamente fra i neogollisti.
Ieri mattina, dopo l’annuncio delle dimissioni, il premier ‘effimero’ ha confermato che «non c’erano le condizioni» per andare avanti. Nel suo intervento, pure una frecciata all’intero sistema: «I partiti continuano ad adottare una posizione come se avessero tutti la maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale. Ogni partito vuole che l’altro adotti il suo programma». Come dire che l’anomalo ‘tripolarismo’ emerso dopo le elezioni legislative di un anno fa ha soprattutto messo ancor più a nudo l’atavica incapacità delle forze politiche in campo di coltivare uno spirito di compromesso.
In effetti, nelle stesse ore, è ripreso il turbine di frecciate e veleni. Per il giovane presidente degli ultranazionalisti lepenisti, Jordan Bardella, Macron deve sciogliere subito il Parlamento e indire nuove elezioni anticipate. L’Eliseo «non può più resistere», gli ha fatto eco Marine Le Pen, chiedendo che finisca «la farsa». Dal fronte opposto, il ‘tribuno rosso’ anticapitalista Jean-Luc Mélenchon ha proposto alle opposizioni di sostenere una mozione per ‘destituire’ Macron, già presentata da frange della gauche radicale. I socialisti, invece, vorrebbero dall’Eliseo un colpo di timone a sinistra, dicendosi «pronti a governare» con un premier progressista.
In effetti, in mezzo alla rissa, il pallino torna in mano a Macron, che nel pomeriggio ha chiesto a Lecornu di proseguire i negoziati fino a mercoledì, quando l’Eliseo sarà informato dell’esito. In caso di stallo, il presidente ha fatto sapere al suo entourage che «si assumerebbe le proprie responsabilità». In quel caso, dunque, prenderebbe quota l’ipotesi di un nuovo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, dato che il capo dell’Eliseo ha finora sempre categoricamente escluso l’opzione delle dimissioni. 
In ogni caso, sembra chiaro che non potrà indossare a lungo i panni imbarazzanti di ‘amministratore fallimentare’ di un sistema sfigurato. Sullo sfondo, c’è un Paese già traversato da fragorose proteste di piazza e vieppiù nel mirino dei mercati finanziari, concentrati sui conti pubblici francesi dissestati e sul varo della prossima legge finanziaria, fin qui parso proibitivo.

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