Così l'Unione Europea spaccata abbassa il tiro sul clima

«Sì ai tagli alla CO2 ma più flessibili». I governi conservatori hanno fatto fronte comune per ottenere un freno. La decisione finale toccherà ora al vertice ambientale del 4 novembre, l’ultima possibilità prima della Conferenza Onu di Belém
October 25, 2025
Così l'Unione Europea spaccata abbassa il tiro sul clima
Von der Leyen, Macron e Merz a Bruxelles / ANSA
«L’impegno in favore del clima non è in discussione. A patto, certo, di coniugarlo con quello per la competitività dell’industria europea». La cosiddetta “formula Merz” – dal nome del cancelliere tedesco che l’ha coniata – non fa una piega. Almeno sulla carta. Il passaggio alla realtà, al contrario, si rivela tutt’altro che lineare. Come coniugare gli interessi di alcuni settori economici ritenuti strategici – auto
in primis – con l’obiettivo fissato dall’Unione Europea di azzerare la differenza tra emissioni prodotte e assorbite nel 2050? Per centrarlo è indispensabile ridurre i gas inquinanti del 90 per cento entro i prossimi 15 anni: un obbligo giuridicamente vincolante alla luce della legge del 2021. Allora, però, a Bruxelles c’era una consistente base progressista, sensibile al tema ambientale. Il vento ora è cambiato. Come salvare il “Green deal” dall’assalto delle forze politiche, al potere in molti dei Ventisette, ostili al cosiddetto “estremismo verde” e propense a flirtare con il negazionismo climatico? Dopo infiniti rinvii, l’Europa ha individuato un punto di equilibrio – precario – nel criterio di «flessibilità». L’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo, terminato giovedì notte, non ha mantenuto le mete fissate: ha deciso, però, di raggiungerle in modo «flessibile». Da qui l’aggiunta di una clausola di revisione sul traguardo in caso le tecnologie sostenibili non si sviluppino come previsto e le condizioni economiche non diventino troppo gravose, come chiesto da Polonia, Francia, Germania e Italia. La priorità, ora, resta la “sicurezza”, sinonimo di investimenti in armi per prepararsi alle guerre presenti e future. «Rispetteremo gli impegni ma dovremo valutare attentamente come renderli sostenibili per cittadini e imprese», ha dichiarato il premier olandese Dick Schoof. Con queste concessioni, l’Ue è uscita in extremis dallo stallo in cui si dibatte da mesi. E spera di riuscire a presentare, seppure con un mese di ritardo sulla scadenza, il proprio piano al vertice dei leader internazionali di Belém del 6 e 7 novembre, in vista della 30esima Conferenza Onu sul clima (Cop30) in programma la settimana successiva.
Determinante per arrivare al compromesso, la lettera scritta dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla vigilia del summit, in cui garantiva un’entrata in vigore “soft” dell’estensione a edifici e trasporti su strada della cosiddetta tassa climatica (Ets): un sistema che già impone a 10mila impianti energetici e industriali del Continente di pagare un’imposta per ogni tonnellata di CO2 prodotta. L’attuazione della misura sarà graduale – ha scritto la leader – e terrà in conto la necessità di non imporre costi eccessivi ai più vulnerabili. Il come, però, non è specificato. Di fatto, la “patata bollente” di individuare misure concrete per “flessibilizzare l’obiettivo” passa al Consiglio ambientale del 4 novembre, l’ultima possibilità di approvare in via definitiva il piano prima della Cop30. Nonché – ha sottolineato l’esperto Jens Matias Clausen – di «salvare la credibilità europea in ambito climatico». Altrimenti i Ventisette si presenteranno all’appuntamento brasiliano in ordine sparso. Nel corso dell’anno, la pressione politica e l’impatto di Donald Trump hanno già spinto Bruxelles a ridimensionare le proprie “ambizioni ambientali”. In particolare, ha “ceduto” sul controllo dei prezzi in un futuro mercato del carbonio per i carburanti e sul rafforzamento dell'imposta Ue sulle emissioni di carbonio alle frontiere, una richiesta fondamentale della Francia. Potrebbe, inoltre, allentare il divieto sui motori a combustione interna a partire dal 2035, come chiesto da Germania e Italia. Con gli Usa fuori dagli Accordi di Parigi – e a Belém solo per formale atto di presenza dato che occorrono due anni per l’uscita –, il ruolo dell’Europa è cruciale per contenere il riscaldamento globale entro una soglia quantomeno sopportabile in alleanza con il Sud del mondo, il più colpoto dagli effetti del surriscaldamento. Al limite di equilibrio – un aumento di 1,5 gradi entro la fine del secolo – il pianeta sembra avere ormai rinunciato. Lo ha ammesso, non senza rammarico, il segretario generale dell’Onu António Guterres davanti all’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo).
«Il suo superamento è ormai inevitabile», ha dichiarato nel giorno in cui la Wto ha pubblicato un nuovo, preoccupante studio secondo cui la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è la più alta registrata finora. Un incremento di 3,5 parti per milione tra il 2023 e il 2024, il maggiore da quando sono cominciate le rilevazioni, nel 1957. Le principali cause sono la combustione di combustibili fossili e il moltiplicarsi degli incendi boschivi, soprattutto in America Latina. Nel frattempo, anche le quote di altri importanti gas serra, metano e protossido di azoto, hanno raggiunto livelli record, aumentando rispettivamente del 16% e del 25% rispetto era preindustriale.
In questo contesto, ormai, i rappresentanti dei 197 Paesi sottoscrittori della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici più l’Ue, convocati dal 10 novembre a Belém, sembrano rassegnati a combattere per mantenere l’aumento delle temperature entro i due gradi. L’ultima barriera tra un ambiente difficile per la vita e uno dichiaratamente ostile.

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