C'è un negoziato sotterraneo a Sharm el-Sheik: quello per riabilitare l'Onu

Sul tavolo aperto per la tregua c'è anche la sconfessione della Gaza Humanitarian Foundation, con riabilitazione delle agenzie delle Nazioni Unite per la consegna degli aiuti
October 7, 2025
C'è un negoziato sotterraneo a Sharm el-Sheik: quello per riabilitare l'Onu
Le macerie di Gaza / REUTERS
I veterani delle trattative si tramandano un vecchio adagio: «Gli accordi si firmano sul tavolo, ma si formano sotto il tavolo». E da Sharm el-Sheik già sul piano umanitario si ascoltano bisbigli da «sotto al tavolo». A cominciare dalla restituzione all’Onu delle operazioni umanitarie a Gaza. Netanyahu deve aver ingoiato un grosso rospo se, come si legge al ”punto 8” dei 20 in discussione, si sconfessa l’operazione israelo-americana della controversa Gaza Humanitarian Foundation. E stavolta neanche gli influencer israeliani arruolati per screditare la stampa internazionale (a cui è vietato mettere piede nella Striscia), potranno inventarsi molto. «L’ingresso e la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza avverrà senza interferenze da parte delle due parti (Israele e Hamas, ndr) attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali non associate in alcun modo a nessuna delle due parti». E’ l’amara rivincita, almeno nelle bozze, del Diritto umanitario calpestato e dileggiato in due anni di mattanza.
È come se l’amministrazione Usa, che si è intestata la svolta negoziale, stavolta riconoscesse che le Nazioni Unite non sono state «il braccio umanitario di Hamas», come sostiene la propaganda governativa israeliana. I mercenari della Ghf dovranno farsi da parte, restituendo il posto che dal dicembre del 1949 spetta all’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwa). Da allora è rimasta l’unica missione delle Nazioni Unite dedicata esclusivamente a una popolazione esautorata. Ma è il paragrafo precedente che nasconde un’insidia per Netanyahu. La sua posizione è ancora sotto i riflettori della Corte penale internazionale, che aveva emesso mandati di cattura per lui ed altri esponenti del governo e delle forze armate, oltre che per i capi di Hamas, nel frattempo uccisi dalle operazioni mirate israeliane.
È il «punto 7». Comincia con un non dichiarato atto d’accusa: «Una volta accettato il presente accordo, tutti gli aiuti saranno immediatamente inviati nella Striscia di Gaza». In altre parole, anche gli autori della bozza di intesa spinta da Donald Trump, riconoscono che l’assistenza umanitaria è stata deliberatamente contingentata, tanto da indicare nella proposta negoziale la proporzione di spedizioni che dovranno invece essere recapitate nella Striscia. Non è un caso che il ministro della Sicurezza nazionale, il leader di estrema destra Ben Gvir, si sia lamentato perché a Gaza alcuni panifici sono tornati a sfamare i civili, quando invece «occorre intensificare le operazioni militari». Parole che certo non sfuggiranno alla Corte dell’Aja, ma che adesso dovranno fare i conti con l’impegno «come minimo», recita la bozza della pax trumpiana, all’invio di «quantità di aiuti coerenti con quanto previsto dall’accordo del 19 gennaio 2025 in materia di aiuti umanitari, tra cui la riabilitazione delle infrastrutture (acqua, elettricità, fognature), la ristrutturazione di ospedali e panifici e l’invio delle attrezzature per la rimozione delle macerie e la riapertura delle strade». Perché Netanyahu ha accettato di esporsi fino a questo punto? Israele, in quanto potenza occupante, era obbligata dal diritto internazionale ad affrontare «obblighi vincolanti nei confronti delle popolazioni sotto il suo controllo. «Le operazioni umanitarie devono rispettare rigorosamente i principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza», chiedeva da Ginevra il Consiglio Onu per i diritti umani. Il non detto “sotto al tavolo” delle trattative è che un progressivo ritiro dalla Striscia non impegnerebbe più Tel Aviv ai vincoli di «potenza occupante». Scaricando i palestinesi che non lasceranno Gaza sulla vituperata comunità internazionale.

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