«Attenti al virus dell'odio. Non lasciamo soli questi popoli»

Per il custode di Terra Santa, padre Francesco Ielpo, «la pace è il bene di tutti. Adesso dobbiamo agire perché non venga sprecato»
October 9, 2025
«Attenti al virus dell'odio. Non lasciamo soli questi popoli»
Padre Francesco Ielpo / VATICAN MEDIA
«Il conflitto in corso, senza precedenti per durata e atrocità, rischia di insinuare odio, risentimento e polarizzazione anche nei cuori dei cristiani, rendendo fondamentale per tutti noi mantenere un cuore pacificato». Padre Francesco Ielpo è il custode di Terra Santa. La mappa della presenza dei francescani si sovrappone a quella dei luoghi più caldi del Medio Oriente, estendendo la propria giurisdizione sui luoghi francescani di Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Palestina, Siria. Dal 24 giugno Ielpo è il Custode, succedendo a padre Francesco Patton. «Parlo se ho qualcosa da dire», ripete ai giornalisti che da mesi arrivano a pedinarlo fin sotto al convento di San Salvatore pur di strappargli una dichiarazione. Non oggi, che è uno di quei giorni in cui «si deve parlare».
Padre Ielpo, lei è arrivato a Gerusalemme nel pieno del conflitto. Ora si aprono spiragli per un cessate il fuoco duraturo. È prematuro usare la parola “pace”?
Spesso siamo tentati di pensare che la pace, il processo di riconciliazione e dialogo tra popoli, dipendano esclusivamente dai governanti, da chi ha responsabilità politiche e, in ultima istanza, dalla diplomazia. Tutto questo è sicuramente vero, ma non dobbiamo dimenticare che la pace non è semplicemente il risultato di accordi o strategie politiche. Ma un bene di tutti, da non sprecare.
Cosa potrà fare la Custodia dal momento in cui taceranno le armi?
Per noi la presenza costante accanto alle persone colpite dai conflitti in Medio Oriente è fondamentale. Stare accanto, esserci, come hanno fatto ad esempio i religiosi rimasti a Gaza, come fanno i frati di tutta la Custodia. Questo ci chiedono le persone. E anche da Gaza sono arrivate testimonianze che mi hanno lasciato senza sonno.
Quali?
Penso ai religiosi della parrocchia di Gaza, i sacerdoti e le suore, e i 450 fedeli rimasti insieme in questi due anni di combattimenti e bombardamenti molto ravvicinati. Quando li senti ripetere «Noi rimaniamo, restiamo qui», e quando li ascolti e non trovi in loro una parola di odio, nonostante tutto quello che hanno vissuto.
Cosa si aspetta per il dopo guerra?
Mi domando come si sentiranno le persone, come affronteranno questo tempo. Il conflitto ha insinuato nel cuore di tanti, il virus dell’odio, del risentimento della della polarizzazione. Questo sarò per noi uno degli impegni maggiori: mantenere un cuore pacificato e pacificante in questa terra.
Da dove comincerete?
Come sempre abbiamo fatto, dall’educazione. Da credenti dobbiamo fare appello alla preghiera. Ma dobbiamo rispondere anche a una domanda antica: chi è il mio prossimo? Solo gli innocenti, solo i giusti? O forse non dobbiamo parlare anche a quelli che consideriamo i nemici? Questo è quello che dovremo se vogliamo costruire relazioni di vicinanza. Per curare le ferite che i conflitti lasciano e per fare in modo che non accada di nuovo.
Quale è il suo desiderio più forte in queste ore?
Quando pensiamo alla Terra Santa, ai popoli che la abitano, alla bellezza e ricchezza di questi luoghi, ma anche alle tribolazioni e ingiustizie che la attraversano, tutti sentiamo il bisogno di pace per questa Terra benedetta e per il mondo intero.
In Libano arriverà Papa Leone XIV, per il suo primo viaggio apostolico. Cosa significa per voi questa scelta del Pontefice?
Siamo entusiasti per la gente del Libano, per il Medio Oriente e per la nostra missione in quella terra. Un Paese che comunque è stato segnato non solo dai recenti scontri tra Israele ed Hezbollah, ma da un conflitto interno lunghissimo e poi ha mostrato capacità di accogliere milioni di profughi da tutti i conflitti mediorientali. La presenza del Papa ha perciò molti significati in un momento decisivo per la storia non solo del Medio Oriente.

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