Armi e terre: così da Budapest, forse stavolta, può arrivare la "pax ucraina"

Il colloquio telefonico tra Putin e Trump, l'imminente incontro tra i due a Budapest e la visita di Zelensky alla Casa Bianca: cosa accade ora? La Ue compra armi per Kiev da Trump e Putin ottiene le terre che vuole: l'epilogo del conflitto potrebbe delinearsi così
October 16, 2025
Armi e terre: così da Budapest, forse stavolta, può arrivare la "pax ucraina"
Il presidente americano Donald J. Trump ieri ha parlato al telefono con il presidente russo Vladimir Putin/ ANSA
La conversazione telefonica tra i presidenti di Usa e Russia, Donald Trump e Vladimir Putin, questo pomeriggio, è durata oltre due ore ed è stata, secondo un portavoce del cremlino, "positiva e produttiva". Domani, venerdì, sarà la volta di Zelensky alla Casa Bianca, mentre è stato annunciato un incontro a breve tra Trump e Putin che si svolgerà presto a Budapest. Ecco un'analisi di cosa potrebbe accadere.
Circola in questi giorni - ma il suo riapparire sulle chat è stato ciclico in tre anni abbondanti di guerra in Ucraina - una storiella che inizia ponendo una semplicissima domanda: conviene più a Trump o a Putin farla finire? A quel punto, come spesso avviene, la trama si biforca. Chi sceglie Trump dice che assesterebbe nel giro di pochi giorni una doppietta dopo il “successo” a Gaza. L’altro fronte vede invece nel successo dell’uomo del Cremlino il continuatore della Grande guerra patriottica con l’annessione dei territori storicamente appartenuti all’Urss.
Poi le due strade del racconto, dopo un breve tratto in parallelo, però si riuniscono, rivelando univocamente l’identità dello sconfitto o, meglio, degli sconfitti: l’Ucraina e l’Unione Europea. Nel classico gioco del win win, a guadagnarci saranno infatti l’America e la Russia. La prima perché avrà completato i contratti di vendita delle armi all’Europa, che comprerà nel grande supermarker di Lockheed Martin, Raytheon Technologies, Northrop Grumman, Boeing e General Dynamics. L’Europa (inserendo anche il Regno Unito) comprerà per sé stessa e per Kiev, che sta progressivamente “adottando” pur non avendo voluto farlo mai completamente. Costretta ora dal “Mister 5 per cento”, che abita alla Casa Bianca e comanda la Nato, a costituire arsenali (come quelli appena disegnati nel piano di Ursula von der Leyen) che neanche al punto più profondo della Guerra fredda aveva mai immaginato, protetta come era dell’ombrello americano che presto sarà richiuso come dopo un temporale di primavera. Tutto è lecito, in guerra come per la pace, tranne il fatto di legittimare la violenza. Così come ogni costo materiale, per il bene prezioso anche di una sola vita, è fondamentale.
La storiella dimentica però un altro elemento fondamentale: il fatto che mai come adesso la tregua e un successivo accordo tra Russia e Ucraina siano a portata di mano. Perché effettuati gli ordini Oltreoceano di missili da crociera (compresi i Tomahawk per Zelensky), aerei e coperture radar-satellitari, “scaricato” sugli Alleati il fronte Orientale il “win” di Trump - sostengono quelli della teoria del parlar male e del fare peccato - è raggiunto.
Inutile spiegare che il “win”, tradotto in russo suona “pobedít’”, il “vincere” finalmente una guerra (di conquista di territori nemici e di risorse) costata miliardi di rubli e punti di Pil, trascurando come lo zar usa fare i morti provocati e subiti. L’ultimo si chiamava Maksim Nasilovsky, era originario di Murmansk e l’hanno ucciso in Ucraina un mese dopo il suo diciottesimo compleanno. Ma presto, si spera, sapremo chi ha vinto. Anche se la storia, come in un dozzinale romanzo poliziesco, ha già svelato fin dalle prima righe il colpevole. Anzi, i colpevoli. Dopo la telefonata riparatrice di stasera e dopo lo sfumato "spirito dell'Alaska", Putin e Trump presto si vedranno, sotto il castello di Buda in Ungheria. Alla corte del fedele infiltrato nella Ue Viktor Mihály Orbán, amico di entrambi e testa d’ariete per sfaldare un’istituzione come l’Unione Europea che non piace né allo zar né al tycoon. Difficile che nel frattempo Zelensky si veda recapitare i Tomahawk con i quali si sentiva sicuro di vincere la guerra, più probabile invece l’ennesima promessa che sarà sussurrata domani sul luogo del delitto (la Casa Bianca), dove venne "messo in mezzo" mesi fa da Trump e Vance. E non serve la sfera di cristallo per comprendere che cosa Trump dirà all'alleato (a geometria variabile) Volodymyr Zelensky. Basta mette in fila due dichiarazioni del capo della Casa Bianca, qualche ora prima e poche ore dopo la lunga telefonata con Putin. "Noi abbiamo tanti Tomahawks", aveva detto nella serata italiana di martedì rispondendo alla domanda sulla concessione o meno dei missili a lunga gittata a Kiev. Per poi cambiare le carte in tavola dopo la chiamata dalla Piazza Rossa:  "I missili Tomahawk? Ne abbiamo tanti ma servono anche a noi".

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