giovedì 12 marzo 2020
Nell’udienza «a distanza» Francesco ha ricordato quanti «devono fuggire dalla guerra, dalla fame, dalle malattie» alla frontera tra Grecia e Turchia. Dove spuntano «centri di detenzione dei migranti»
Migranti siriani attraversano il confine turco al valico di Kastanies

Migranti siriani attraversano il confine turco al valico di Kastanies - Reuters

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La prigione dei migranti di Dikaia è un luogo di cui si parla solo sottovoce. Tutto il villaggio la conosce. «Li portano lì, poi non sappiamo cosa succede», racconta una ragazza piuttosto scocciata dai modi dei poliziotti. La sospensione del diritto d’asilo, caso unico nell’Ue, autorizza le autorità a trattare i migranti come delinquenti. Bambini compresi. «Non vorrei che questo dolore, questa epidemia tanto forte ci faccia dimenticare i poveri siriani », ha detto ieri Papa Francesco durante l’insolita udienza del mercoledì, svolta a distanza a causa del coronavirus. Già domenica il Pontefice aveva richiamato la comunità internazionale davanti al dramma dei siriani di Idlib.

Ma la lettura delle notizie dalle isole e dalla frontiera continentale lo ha fatto tornare ancora una volta sul dramma dei profughi, «che stanno soffrendo al confine tra Grecia e Turchia: un popolo sofferente da anni. Devono fuggire dalla guerra, dalla fame, dalle malattie. Non dimentichiamo i fratelli e le sorelle, tanti bambini, che stanno soffrendo lì». Delle decine fini- ti in arresto si sa poco o nulla. E anche dei luoghi di detenzione. Dal 29 febbraio, informa la polizia di frontiera, sono state arrestate 348 persone: 44.353 sono stati i tentativi d’ingresso respinti. Sul suolo turco restano circa 6mila disperati a ridosso di Kastanies e il doppio lungo tutta la barriera. Numeri in costante diminuzione, dopo che Ankara sta lentamente riaccompagnando i profughi nei campi dell’entroterra lontani dal confine.

A Dikaia, quando finalmente raggiungiamo il villaggio sul fiume nel quale vengono deportati i fuggiaschi, l’esercito è perentorio: «Tutta la zona è inaccessibile. Ci sono operazioni militari. Se vi ritroviamo finite in prigione». Ci sbarrano la strada in quattro. Fucile d’assalto in spalla e scarponi sporchi di fango. Il sottufficiale che ci ha inseguito sull’argine con il suo vecchio fuoristrada non è di molte parole. Ma bastano: «Guai se tornate». E per esserne certo fa arrivare in mezzo alle frasche anche una pattuglia della polizia, che con meno irruenza ma altrettanta fermezza ripete il ritornello, fingendo benevolenza: «Stavolta vi lasciamo andare». La valle dell’Evros è una larga spianata verde di campi di cotone e arnie. Il muezzin turco dalla più vicina moschea di Edirne sembra faccia a gara con la litania del pope, in un gioco di megafoni sparati a tutto volume, nella rassegnata esasperazione dei paesani. Tra i residenti c’è chi prepara torte e vivande per i militari venuti «a difendere la Grecia dall’invasione turca», dicono i più anziani. «Portano qui i profughi catturati nel fiume – racconta un bulgaro che ogni giorno si reca al lavoro in Grecia attraversando la vicina frontiera tra i due Paesi –. Non sappiamo che cosa succede nella prigione, però ogni tanto li raggruppano e li portano da un’altra parte». Le autorità di Atene negano. I ricercatori di Human Rights Watch e il New York Times hanno raccolto alcune testimonianze e foto satellitari di quelli che sembrerebbero essere siti extragiudiziari. Per il Times si tratterebbe di «una delle varie tattiche che Atene sta usando per evitare il ripetersi della crisi migratoria del 2015».


ESODO / Giallo sulle prigioni segrete di Atene. «Li portano lì, non sappiamo che succede dopo»

44.353
è il totale dei tentativi di ingresso illegali denunciati dalla Grecia a partire dal 29 febbraio

348
sono le persone arrestate dalla polizia di frontiera greca. Rischiano fino a 4 anni di carcere


Il governo nega. In verità, una smentita tutta da interpretare. «Non ci sono prigioni segrete», risponde ad Avvenire un portavoce dell’esecutivo greco. «Tutto ciò che riguarda la sicurezza delle frontiere – si limita a dire – avviene in modo trasparente, applicando le norme costituzionali e le leggi nel quadro delle normative europee». Tutto il resto è «il prodotto della propaganda della Turchia». Insomma, le prigioni ci sono, ma non sono segrete. Ma una mappa aggiornata del centri di detenzione per i migranti non è stato possibile ottenerla. Una conferma indiretta dell’esistenza della prigione all’interno di una caserma da cui si assiste al continuo viavai di mezzi con i teloni sigillati, arriva da un progetto che vedrebbe proprio tra la linea ferroviaria e Trigono, il comune che confina contemporaneamente con Bulgaria e Turchia, l’allestimento di un campo per i profughi catturati anche con il supporto delle ronde di estrema destra. Il ministro delle Politiche migratorie greco, Notis Mitarakis, ha parlato di un «centro chiuso», sottolineando così di non volerne fare un luogo d’accoglienza, come in altre parti del Paese, ma di detenzione. Un’eventualità che non piace a Sofia che considera «poco ragionevole » l’intenzione di Atene. «L’accoglienza di migranti illegali da parte greca vicino al nostro confine – ha reagito il ministro della Difesa bulgaro, Krassimir Karakachanov – costituisce un presupposto per far sorgere ulteriori tensioni». Più che un’osservazione, un avvertimento come raramente accade nell’Ue: «L’esercito bulgaro è in stand–by e vi garantisco che non permetterà una nuova ondata migratoria nel Paese».

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