martedì 18 agosto 2020
L'ex premier venne ucciso il 14 febbraio 2005 sul lungomare di Beirut con altre 21 persone da un’autobomba esplosa al passaggio del suo corteo. Quattro gli imputati, tutti del partito sciita Hezbollah
L'ex premier libanese Rafic Hariri nel 2001 all'Eliseo

L'ex premier libanese Rafic Hariri nel 2001 all'Eliseo - Ansa

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"Non ci sono prove del coinvolgimento di Hezbollah nell'assassinio" dell'ex primo ministro libanese Rafiq Hariri nel 2005. Lo ha stabilito il Tribunale speciale per il Libano con sede in Olanda.

Dopo 15 anni il Libano conosce la «verità» sul delitto Hariri

Ore di fibrillazione in Libano per il verdetto, atteso oggi dopo le 17 all’Aja, del Tribunale speciale per il Libano (Tsl) sull’assassinio dell'ex premier libanese Rafic Hariri. Il pronunciamento riguarda quattro membri di Hezbollah, tutti assenti durante il lungo processo. Il leader del movimento, Hassan Nasrallah, ha ribadito nel suo ultimo discorso di venerdì che «non riconoscerà» alcun verdetto del Tsl contro il suo partito. «Lo considereremo come se non ci fosse mai stato», ha detto Nasrallah. «Il verdetto è pronto già da anni», ha poi aggiunto prima di invitare il suo pubblico ad armarsi di pazienza perché «qualcuno cercherà di strumentalizzare la decisione per attaccare» il Partito di Dio.

Hariri è stato ucciso il 14 febbraio 2005 sul lungomare di Beirut con altre 21 persone da un’autobomba esplosa al passaggio del suo corteo. Nel suo omicidio è stato chiamato in causa, come mandante, il governo siriano con cui Hariri era entrato in contrasto. Il figlio della vittima, Saad Hariri, che sarà presente oggi al tribunale, ha più volte assicurato che per lui «conta maggiormente la stabilità del Libano» per cercare di disinnescare ogni reazione. Il timore è che la sentenza internazionale contempli una richiesta (irrealizzabile) al governo libanese di consegnare i colpevoli, pena affidare il compito a una polizia internazionale. Ieri, il patriarca maronita ha illustrato in una conferenza stampa il suo «Memorandum » sulla neutralità attiva del Libano, considerandola una «garanzia di stabilità » in grado di salvare il Paese dal rischio di disintegrazione.

Il cardinale Béchara Rai si è anche appellato all’Onu per riconoscere, «nel momento opportuno», al Libano lo status di Paese neutrale e di aiutarlo a trovare una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi e siriani per salvare la sua esperienza di pluralismo.

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