venerdì 12 giugno 2020
Secondo l'Unicef 40.000 bambini lavano le rocce immersi in pozze inquinate per farle trasportare in Cina, che ha il monopolio su questa risorsa, necessaria per l'alta tecnologia di consumo
Alcuni bimbi profughi congolesi accolti in una struttura religiosa. Ma molti sono al lavoro nelle miniere di cobalto

Alcuni bimbi profughi congolesi accolti in una struttura religiosa. Ma molti sono al lavoro nelle miniere di cobalto - Archivio Avvenire / Cavalli

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Il coronavirus ha riportato nelle miniere i bambini di Kolwezi, la capitale mondiale delle terre rare nel sud della Repubblica democratica del Congo. Dove è in atto una corsa selvaggia ai minerali strategici del terzo millennio: da qui viene l’80% dell’offerta sul mercato mondiale. E qui si sono spostate migliaia di famiglie spesso in fuga dalla violenza delle milizie.

Solo negli ultimi due mesi circa 200mila persone hanno abbandonato le proprie case e attualmente la Repubblica democratica congolese è il secondo Paese al mondo dopo la Siria per numero di sfollati interni. Lo sfruttamento dei minori è abituale per raccogliere e ripulire a basso costo i minerali necessari per il funzionamento di smartphone, tablet, computer e auto elettriche. Un quinto dei minori africani è coinvolto in forme di lavoro minorile e circa uno su dieci svolge lavori pericolosi come l’estrazione del cobalto.

Secondo stime Unicef almeno 40.000 bambini lavano le rocce immersi in pozze inquinate per farle trasportare in Cina, che ha il monopolio su questa risorsa.

In questo inferno senza regole è arrivata 8 anni fa dal Kenya, con altre consorelle, suor Catherine Mutindi, della Congregazione del Buon Pastore, attiva con la Fondazione internazionale omonima in 70 Paesi per proteggere donne e bambini. Le ha chiamate il vescovo, che ha donato loro un terreno alle porte della città, in mezzo alla zona mineraria.

«La situazione di sfruttamento che abbiamo trovato – spiega – era molto forte. Le terre rare sono infatti estratte soprattutto da piccole aziende artigianali. Le famiglie non mandano i figli a scuola perché hanno bisogno del loro aiuto per sopravvivere. Secondo un’indagine che avevamo realizzato nel 2013, nelle comunità del Domaine Marial il 65% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni intervistati lavorava nelle miniere. Nel 2017 abbiamo scoperto che nell’area di Kanina lo faceva quasi l’80% dei bambini in età scolare».

Le suore hanno girato le comunità minerarie artigianali piedi e hanno conosciuto diverse famiglie. La malnutrizione era molto diffusa. E, come dimostrato da diverse ricerche, l’ultima pubblicata da Lancet lo scorso aprile, donne e bambini, spesso madri e figli, lavorano per setacciare e lavare il cobalto senza mascherine o guanti e sono esposti ad un elevato rischio di malattie respiratorie e gravi infezioni del tratto urinario. In molti piccoli è stata trovata una quantità di cobalto nelle urine dieci volte superiore alla media. «Coinvolgendo alcune madri – prosegue la religiosa – abbiamo fondato una cooperativa agricola per coltivare la nostra terra e produrre il necessario per sopravvivere. Così potevano mandare i figli a scuola».

La Fondazione del Buon Pastore ha anche avviato dei corsi scolastici e il progetto delle suore coraggiose che stanno combattendo lo sfruttamento con cibo e istruzione con successo ha raccolto riconoscimenti a livello internazionale.

Ma la pandemia ha fermato tutto. Le scuole sono state chiuse, i confini sigillati e manca quindi cibo. Molti bambini stanno perciò ritornando nell’inferno delle miniere a lavare i minerali senza protezione, esponendosi al contagio. La fondazione del Buon Pastore insieme ad altre 70 organizzazioni della società civile ha chiesto a governi, istituzioni finanziarie, organizzazioni internazionali e al settore privato di attivarsi per supportare le comunità di minatori artigianali. Il rischio di ammalarsi è elevato inoltre le milizie possono prendere il controllo delle miniere. E la caduta dei prezzi dei minerali aumenta i rischi di sfruttamento.

Senza sostegno ai piccoli minatori Il Covid nella «cintura del cobalto» rischia di uccidere anche il loro futuro.

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