giovedì 29 agosto 2019
Iván Márquez, che ha guidato la delegazione dei ribelli durante i negoziati: riprendiamo le le ostilità, «il governo ci ha traditi». Ma il leader dell’ex guerriglia lo sconfessa
La pace sta fallendo. Le Farc riprendono le armi, l'annuncio in un video
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«Annunciamo l’inizio di una nuova fase di lotta di fronte al tradimento della pace». Luciano Marin, meglio noto con il nome di battaglia Iván Márquez, indossa la divisa verde-olivo. Il messaggio è chiaro ancora prima di iniziare il discorso da 32 minuti filmato lungo frontiera con il Venezuela e diffuso su YouTube: chi parla non è più il capo negoziatore che, per oltre quattro anni, ha guidato la delegazione delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc) all’Avana per i negoziati di pace. Né il senatore che, un anno e mezzo fa, ha ottenuto uno dei dieci seggi spettanti al partito nato dall’accordo: Fuerza alternativa revolucionaria del común (Farc). L’identità di sigle non è una coincidenza: i fondatori – tra cui lo stesso Márquez – volevano sottolineare la continuità tra la guerriglia e la formazione politica.

Per l’ex numero due del gruppo, però, il processo cominciato a Cuba e sancito dall’accordo con il governo del 24 novembre 2016, è un capitolo chiuso. Lo è, in realtà, da un anno quando, dopo aver rifiutato l’incarico parlamentare, era tornato in clandestinità, aprendo un fossato tra le nuove Farc-partito e le vecchie Farc-combattenti. L’addio alle armi è stato un errore, aveva detto lo scorso gennaio, confermando i timori di molti. Ora Márquez ha compiuto il passo definitivo. Per farlo, il miliziano s’è fatto accompagnare da alcuni comandanti storici: Hernán Darío Velázquez alias El Paisa, Henry Castellanos ovvero Romaña e, soprattutto, Seuxis Paucias Hernández cioè Jesús Santrich. Proprio il “caso Santrich” è stato uno dei fattori determinanti della scelta di Márquez.

Il 9 aprile 2018, questi è stato arrestato con l’accusa di aver cercato di inviare droga negli Usa dopo il trattato di pace. Il presunto delitto non rientrava, dunque, nella giurisdizione del sistema speciale creato per i crimini commessi durante conflitto. Per tale ragione, Washington ne ha potuto chiedere l’estradizione, la peggior minaccia per gli ex guerriglieri. Le autorità colombiane, alla fine, non hanno ritenuto sufficienti le prove e, dopo un anno di battaglia, hanno liberato l’imputato. L’esito non ha rassicurato alcuni ex comandanti, timorosi che Santrich fosse solo il primo della serie. Tanto più che, dal maggio 2018, al governo c’è Iván Duque, delfino dell’ex presidente Álvaro Uribe, principale oppositore dei negoziati. In campagna, quest’ultimo aveva promesso di «fare a pezzi l’accordo». In realtà, finora, non l’ha fatto perché il Congresso ha respinto le sue proposte. L’applicazione del trattato – già lenta durante la presidenza del suo architetto, Juan Manuel Santos –, però, è impantanata.

Nel frattempo, s’è intensifica la strage di attivisti sociali – 734 sono stati uccisi tra novembre 2016 e lo scorso giugno, secondo gli analisti di Indepaz – ed ex combattenti, 138 vittime. «Siamo stati costretti a riprendere i Kalashnikov», ha affermato Márquez, il quale ha, però, annunciato una nuova strategia basata sull’alleanza con l’altra guerriglia colombiana – l’Ejercito de liberación nacional (Eln) – e escluderà i sequestri.

La mossa dell’ex numero due è stata sconfessata dal leader delle Farc – vecchi e nuove –, Rodrigo Londoño alias Timochenko: «Un errore grave. Un delirio». Sul fronte opposto, Uribe ha subito attaccato l’accordo di pace e proposto cambiamenti. Mentre Duque ha accusato il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, di proteggere i ribelli. Non si sa se questo potrà reggere al fuoco incrociato dei radicali d’ultra-sinistra e ultra-destra. Di certo, però, ora è più fragile.

La scheda. La storia, l'accordo, la situazione attuale

(A cura della redazione Internet) È durata 52 anni la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), fino a quando, nel 2016, esausti entrambi, governo e ribelli siglarono un accordo di pace che, inattuato o boicottato da Bogotà, ha dato modo ai secondi di prendere posto in parlamento e ai primi di lasciare il territorio in mano a una criminalità impunita e connivente con la politica e le multinazionali.

Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia - oggi poche migliaia di membri, coinvolti, spesso, in attività legate al narcotraffico o di criminalità comune - sono un'organizzazione guerrigliera (una delle più antiche del mondo) comunista, di ispirazione marxista-leninista e bolivariana. Nel 1964 i sopravvissuti alla repressione dello Stato colombiano, appoggiato dagli Usa, nei confronti dei tentativi di auto-organizzazione agraria, individuarono nella lotta armata l'unica via per instaurare una democrazia popolare e socialista
nel paese.

Si stima che la lotta della guerriglia abbia causato oltre 230 mila morti, 250 mila tra sequestri e sparizioni e 5 milioni di sfollati dalle proprie terre.

Fonte di finanziamento delle Farc erano le tasse imposte (definite per la pace) nei confronti di persone con un patrimonio superiore al milione di dollari Usa nelle zone controllate, pari al 20-25% del territorio colombiano e concentrate principalmente nelle giungle del Sud-Est del Paese e nelle aree montagnose prossima alla cordigliera andina, territori che comprendevano piantagioni di coca, cannabis e oppio. Imponevano tasse anche ai narcotrafficanti, non si ritenevano trafficanti di droga, sequestravano chi si rifiutava di pagare le imposte, espropriavano con le armi i beni in possesso dello Stato colombiano e del sistema bancario.

Nel 1984 le Farc firmarono un accordo per il cessate il fuoco con il presidente Belisario Betancourt ma nel 1985, dopo lo sterminio di molti dirigenti, tornarono alla lotta armata. Negli anni '90 ci furono diversi dialoghi di pace ma nel 2002 il presidente Andres Pastrana, con il sostegno degli Usa, decise di riprendere l'azione militare che venne portata avanti dai suoi successori Alvaro Uribe e Juan Manuel Santos fino al 2011, mentre nel 2012 all'Avana, dopo anni di bombardamenti governativi sugli accampamenti della
guerriglia, iniziarono i decisivi colloqui di pace per la fine del conflitto, fino all'accordo firmato a Cartagena de Indias il 26 settembre 2016, proprio con quel Santos che li aveva combattuti e che, per quell'intesa, fu premiato con il Nobel per la Pace.

L'accordo venne respinto da un referendum nel paese, ma restò in vigore. Da quel momento comincia la metamorfosi di una guerriglia: deposte le armi, le Farc tengono un congresso per dare vita a un nuovo partito politico, fondato da Rodrigo Londono, che ha lo stesso acronimo delle Forze rivoluzionarie armate di Colombia ma si chiama Forza rivoluzionaria alternativa e lo scorso anno che ha portato a casa cinque poltrone in Senato e altre cinque alla Camera dei deputati.

Tra i parlamentari eletti c'erano proprio Jesùs Santrich e Ivan Marquez, che oggi hanno dato l'annuncio del ritorno alla lotta armata. Marquez fu il capo della delegazione dei ribelli che negoziò l'accordo di pace.
Successivamente ne ha preso le distanze, in particolare dopo l'elezione alla presidenza del Paese di Ivan Duque, avversario di una intesa che per gli ex ribelli è rimasta inattuata o non rispettata. Resta cruciale - ha spiegato a Osservatorio Diritti Monica Puto, coordinatrice del progetto di Operazione Colomba che da dieci anni accompagna la Comunità di Pace di San Jose de Apartadò (Cdp), situata nella regione dell'Urabà, una
delle più colpite dal controllo delle Farc - il tema della redistribuzione delle terre.

Secondo la ong Instituto de Estudios sobre Paz y Desarrollo (Indepaz) e del movimento politico Marcha Patriòtica più di 700 leader sociali e 135 ex combattenti delle FARC sono stati assassinati dal 2016, anno in cui è stato firmato l'accordo.

Il numero di omicidi e massacri, secondo le stime dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, è aumentato in Colombia del 164% rispetto al 2018 e 110 attivisti dei diritti umani sono stati uccisi. Il bagno di sangue ha spinto l'Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia (ONIC) ha chiedere lo "stato di emergenza" per l'"assassinio sistematico" dei suoi leader durante il primo anno di governo
del presidente Ivan Duque, che si è concluso nel primo scorcio di agosto di quest'anno.
"Dopo il 2016 - afferma - si è registrato un incremento della presenza di paramilitari nelle zone liberate dalle Farc, soprattutto nelle regioni di Cauca e Urabà. In quest'ultima, i paramilitari appartenenti al clan del Golfo o al gruppo Autodifese Gaetaniste della Colombia (Agc), risultano spesso essere al servizio di grandi
proprietari terrieri o multinazionali".





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