Vi racconto quarant'anni di trapianti di cuore (tra cui c'è stato anche il mio)
L'11 novembre del 1985 cambiava la storia della medicina. Oggi il nostro Paese è tra i leader mondiali, con oltre 400 interventi l’anno e donatori sempre più anziani grazie ai progressi clinici. Ma resta decisivo, come allora, un semplice “sì” alla donazione

Quarant’anni di trapianti di cuore. Tanto è passato da quando l’11 novembre 1985 l’allora ministro della Sanità, il democristiano Costante Degan, appose la propria firma sul decreto che autorizzava in Italia questa rivoluzionaria pratica chirurgica. Ancora echeggiava il mito di Christian Barnard che, quasi vent’anni prima, aveva osato varcare per primo la “sovrumana” frontiera. Era il 3 dicembre 1967 quando quel trentacinquenne chirurgo sudafricano provò su una donna e un uomo ciò che fino ad allora aveva sperimentato soltanto su cani, babbuini e scimpanzé. Il giorno prima, verso sera, al pronto soccorso del Grote Schuur Hospital di Città del Capo erano arrivate una madre e la figlia venticinquenne, Denise Darvall, investite mentre attraversavano la strada. Per la madre non c’era più niente da fare. Sulla figlia si tentò il tutto per tutto, ma il trauma cerebrale della giovane era irreversibile. Il suo cuore però continuava a battere. La condizione ideale per la “pazza idea” di Barnard. Dodici minuti dopo l’arresto cardiaco di Denise, a capo di un team di trenta persone tra medici e infermieri Barnard preleva il cuore della giovane per trapiantarlo al 54enne Louis Washkansky. Nove ore di intervento. Il ricevente, già in condizioni critiche, sopravvisse soltanto 18 giorni ma spianò la strada al secondo trapianto, un mese dopo. Il cuore di un nero, Clive Haupt, venne trapiantato a un uomo bianco, il dentista Philip Blaiberg, che vivrà per 19 mesi. L’anno dopo a ricevere un cuore sarà per la prima volta una donna, di colore: Dorothy Fisher visse dodici anni e mezzo. Allora la ciclosporina, un principio attivo ricavato da miceti, non c’era ancora. Arrivò nel 1979 e da quel momento il successo dei trapianti di cuore (e degli altri organi) crebbe sempre più. Il rigetto d’organo da parte del sistema immunitario verrà sempre meglio neutralizzato. Dovettero però passare diciotto anni prima che anche in Italia il trapianto di cuore diventasse realtà. Non si aspettava altro che il via libera dal Ministero e, appena arrivato, nel giro di pochi giorni ecco che l'equipe diretta dal professor Vincenzo Gallucci realizzava a Padova il primo trapianto di cuore in Italia. Era il 14 novembre. Nel giro di nove giorni altri trapianti di cuore vennero eseguiti a Pavia (il 18 novembre), a Udine (il 22), a Bergamo e Milano (il 23) e a Roma (il 24): l'inizio di una nuova era per la trapiantologia italiana.
Quarant'anni dopo, il nostro Paese è ai primi posti mondiali per tasso di trapianti cardiaci eseguiti. Nel 2024 nei venti centri italiani autorizzati, ne sono stati realizzati ben 413: +13% rispetto al 2023, addirittura +38% rispetto al 2022. E quest’anno il loro numero è in ulteriore aumento: nei primi dieci mesi del 2025 i trapianti di cuore sono stati 376, ovvero l'8,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Un nuovo insperato e virtuoso “effetto Nicholas”, espressione coniata in onore del bambino americano ucciso il 1° ottobre 1994, a sette anni, sulla Salerno-Reggio Calabria dal fuoco di una banda di rapinatori. Ma mentre trent’anni fa quell’impennata di donazioni (e conseguenti trapianti) in Italia, allora fanalino di coda in Europa, si dovette soprattutto all’ondata emotiva dovuta a quella tragica morte con la decisione dei coraggiosi genitori Reginald e Maggie Green di donare gli organi del figlioletto (scuole, giardini, parchi giochi, vie e piazze sono stati intitolati a decine a Nicholas), oggi per gli italiani si tratta invece di una grande prova di civiltà e di maturità. Certo, si potrebbe fare molto di più se ci fosse un più pieno e convinto assenso alla donazione, soprattutto nelle regioni del Sud, quando ci si reca agli uffici anagrafe dei comuni per l’attivazione o il rinnovo della carta d’identità elettronica. Comunque sia, anche lo scenario delle donazioni è positivamente evoluto in maniera significativa. Anzitutto, si riesce sempre più a ricorrere a cuori “anziani” grazie alla migliore organizzazione della Rete trapianti e all’innovazione delle tecniche trapiantologiche. Se il primo donatore di cuore, Francesco Busnello, di Treviso, vittima di un incidente stradale, aveva solo 18 anni, nel 2002 l'età media dei donatori di cuore al momento del decesso era di poco più di 36 anni, e il donatore più anziano di quell'anno ne aveva 67. Nel 2024, addirittura, l'età media era salita a quasi 48 anni, mentre il donatore più anziano ne aveva 77: circa un quarto dei donatori di cuore oggi ha più di 60 anni. E se un tempo molti donatori erano purtroppo persone vittime di incidenti stradali, oggi in oltre il 60% dei casi la causa di decesso dei donatori è rappresentata dall'emorragia cerebrale. Un radicale cambiamento della tipologia dei donatori dovuto anche all’introduzione dell’obbligo del casco per tutti i motociclisti, anche over 18, a partire dal 2000. Nei mesi successivi ci fu in effetti una leggera diminuzione del numero di trapianti. Ma in breve la crescente maggiore capacità della Rete trapianti di segnalare le donazioni anche tra pazienti in età più avanzata, e di utilizzare con successo questi organi, è via via stata alla base del significativo aumento dei trapianti di cuore registrato negli ultimi anni. L’allargamento dei criteri di selezione dei donatori è legato anche all’ampliamento dei criteri di candidabilità dei riceventi: nel 2002 la loro età media era di 48 anni, oggi è di 52, mentre l’anno scorso il cardiotrapiantato più anziano aveva 76 anni contro i 68 di quello del 2002.
Oggi è possibile dare un cuore nuovo a pazienti più avanti con l’età proprio perché l’efficacia della terapia del trapianto è sempre più evidente e sono cresciute le capacità cliniche della Rete di gestire complicanze e comorbidità. Un'altra decisiva innovazione che ha contribuito all'incremento dei trapianti è stata poi la possibilità di utilizzare i cuori dei cosiddetti "donatori a cuore fermo", ovvero pazienti i cui organi vengono prelevati per trapianti dopo che il cuore è rimasto fermo anche per almeno venti minuti (all'estero invece sono mediamente 5-10 minuti). Aumentando, in questo modo, la possibilità di donazione e di trapianto. Dal 2023, anno del primo trapianto di cuore realizzato in Italia con questa modalità, gli interventi eseguiti sono stati già oltre 80, circa il 9% del totale, con risultati sovrapponibili ai trapianti eseguiti da donatore in morte cerebrale. In questo momento ci sono poco più di ottocento pazienti che aspettano un cuore nuovo tra gli oltre ottomila in attesa di trapianto e, proprio come quarant'anni fa, resta ancora il sì dei donatori e delle loro famiglie lo spartiacque fondamentale. Un assenso che non costa nulla e che può però significare, per centinaia di persone che soffrono di scompenso cardiaco e di altre patologie cardiache, il ritorno alla vita e alla speranza di una nuova alba. Dal 2002, ovvero da quando è entrato in funzione il Sistema informativo trapianti, quelli cardiaci sono stati oltre settemila. Tra questi c’è stato anche il mio, nel 2013. Dodici anni fa. Una inezia rispetto al trapianto di cuore più longevo d'Europa e uno dei più longevi al mondo: quello ricevuto da Gian Mario Taricco, che fu il secondo in assoluto realizzato in Italia. Taricco, allora ventenne, fu trapiantato a Pavia dall'equipe diretta dal professor Mario Viganò il 18 novembre 1985, una settimana dopo la firma di quel decreto così tanto atteso. Quel cuore, quarant'anni dopo, batte ancora nel petto più grato del mondo.
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