Un rischio (e un test) per l'Europa: la crisi a Belgrado

Sta suscitando scarsa eco la vicenda della Serbia, dove una mobilitazione popolare capeggiata dagli studenti ha innescato un duro braccio di ferro con il governo guidato dal presidente Vucic
September 1, 2025
Un rischio (e un test) per l'Europa: la crisi a Belgrado
Reuters | Gli scontri di metà agosto a Belgrado
Che la globalizzazione non sia per nulla in ripiegamento ce lo dice la rilevanza che ha assunto quest’anno per l’Europa la riunione in Cina dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco). La compresenza (rara) del padrone di casa Xi Jinping, del presidente russo Vladimir Putin e del premier indiano Narendra Modi, con altri leader del cosiddetto Sud globale, ha catalizzato l’attenzione, sia per il peso politico ed economico di questa aggregazione sia per l’attesa di nuove mosse sui tragici conflitti in Ucraina e a Gaza. Gli orizzonti planetari su cui giustamente volgiamo il nostro sguardo non devono però farci trascurare quello che avviene a pochi chilometri dal confine orientale italiano e nel cuore della Ue. Sta infatti suscitando scarsa eco la vicenda della Serbia, dove una mobilitazione popolare capeggiata dagli studenti ha innescato un duro braccio di ferro con il governo guidato dal presidente Aleksandar Vucic e i suoi sostenitori.
La vicenda dovrebbe rimanere sotto la lente dei nostri rappresentanti e le telecamere dei nostri media non solo per la posta in gioco interna – le sorti di una democrazia di 6,5 milioni di abitanti –, ma anche perché è un altro test – piccolo ma non per questo meno rilevante – della capacità dell’Unione Europea di essere un attore positivo ed efficace. Le proteste di piazza sono iniziate alla fine dell’anno scorso, dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad che causò 16 vittime. Il grave incidente, percepito come la conseguenza di corruzione sistemica, cattiva gestione e collusione tra politica e imprese, è stato l’episodio che ha trasformato in rabbia il malcontento sociale di una parte della popolazione. Da tempo, si accusa l’attuale esecutivo di autoritarismo crescente, manifestato dal rigido controllo sui media, pressioni sull’opposizione e mancanza di trasparenza nella vita delle istituzioni.
In agosto, violenti scontri sono esplosi a Belgrado e in diverse città, tra cui Novi Sad, Vrbas e Valjevo, coinvolgendo manifestanti, polizia e gruppi filogovernativi. I dimostranti sono stati attaccati con fumogeni e petardi, mentre il movimento di protesta ha risposto assaltando e demolendo le sedi del Partito Progressista, nazional-conservatore con venature di populismo. La protesta ha assunto carattere sempre più duro: numerosi i feriti tra civili e agenti, decine gli arresti, mentre emergono accuse di brutalità e uso sproporzionato della forza da parte della polizia. Riccardo Michelucci ha raccontato su Avvenire di rastrellamenti e pestaggi all’interno di un edificio, capaci di evocare il ricordo dei fatti della scuola Diaz a Genova, durante il G8 del 2001. Di fronte a nove mesi di disordini crescenti, Vucic ha proposto un confronto aperto, in diretta televisiva, con rappresentanti dei movimenti studenteschi. In una lettera della settimana scorsa, il capo dello Stato (al potere da oltre un decennio) ha rivendicato la buona fede nei tentativi di dialogo, ricordando le misure adottate dopo la recente tragedia ‒ dimissioni ai vertici, inchieste e riforme ‒ e respingendo l’ipotesi di voto anticipato (si andrà ai seggi nel 2027). Leader dell’opposizione e dei neonati gruppi informali hanno però rigettato l’offerta, dichiarando che parteciperanno a colloqui solo nell’ambito di una campagna elettorale ufficiale. Le piazze, intanto, continuano a chiedere a gran voce lo scioglimento del Parlamento.
Sondaggi di opinione indicano che la piattaforma civica dei giovani universitari e delle scuole superiori, fortemente europeista, sarebbe addirittura prima negli orientamenti popolari, con una netta prevalenza nelle città principali, mentre i partiti al potere hanno consensi radicati nei piccoli centri, riflettendo la diversa composizione demografica e sociale. Di fronte a questa situazione, la Ue non trova (o forse non cerca neppure) modalità di manifestare efficacemente la sua presenza a tutela della democrazia. Non può interferire direttamente nella politica di un Paese candidato all’adesione, certo, ma dovrebbe fare sentire più forte la sua voce. La storica vicinanza alla Russia e le relazioni speciali di Vucic con Mosca (non ha aderito alle sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, anche se ha comunque sostenuto indirettamente Kiev) forse inducono prudenza nella Commissione, per non spingere Belgrado ancora più verso Est. Ma Bruxelles ha promesso alla Serbia 1,6 miliardi di euro entro il 2027 per attuare le riforme necessarie per l’ammissione e potrebbe usare questo strumento per invitare al rispetto dell’indipendenza della magistratura e della libertà di stampa. Lo stesso Vucic in un intervento sul quotidiano The Guardian ha usato la linea prudente tenuta dalla Ue per rivendicare la bontà del suo operato e denunciare l’illegalità di «23mila manifestazioni non autorizzate». Per altro, non tutto il blocco che chiede un cambio di leadership è fortemente pro-Europa. Un motivo in più per esercitare una persuasione morale ed economica efficace che mostri la convenienza di allinearsi ai valori e alle procedure dell’Unione, evitando che il Paese, anche per le possibili influenze indirette del Cremlino, si allontani dall’orbita Ue, come sta accadendo, pur con modalità e intensità differenti, in Georgia e in Moldavia. I media di Belgrado dipingono le istituzioni comunitarie come ipocrite e ostili, molti cittadini oggi ne sono convinti. Si tratta di ribaltare concretamente questa rappresentazione.
L’economista Tito Boeri ha proposto che l’Europa faccia propaganda addirittura nelle regioni orientali della Russia, dove è maggiore il reclutamento di soldati tra la popolazione povera, promettendo aiuti e sviluppo in modo da convincere i giovani a non andare a morire per Putin. Idea originale e obiettivo nobile, anche se forse irrealizzabile. Dare più forza agli studenti di Belgrado è invece alla nostra portata. Vederli trionfare alle elezioni come è accaduto, seppure in altro contesto, nel popoloso Bangladesh sarebbe un segnale forte da contrapporre alle prove di nuovi equilibri geostrategici che vengono dal summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Tentativi più che legittimi se non venissero da due presidenti, quello cinese e quello russo, che della democrazia liberale e delle sue garanzie certo non sono campioni. Senza dimenticare che la stessa Sco, come altre entità sorte dagli anni Novanta in poi, ha seguito le orme, con tutte le proprie specificità, del modello virtuoso offerto dalla Ue, che con il suo successo ha contribuito a stimolare iniziative di cooperazione regionale in molte aree del mondo. Ora che la concorrenza si fa più serrata, sarebbe un brutto errore perdere attrattività proprio di fianco a casa.

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