Trump, Kirk e i social: qual è il confine della parola?
Sbagliato sottovalutare il rischio di atti di violenza politica ai danni di esponenti Maga. Quindi, esercitare un controllo sui social è legittimo. Ma garantendo tutele a tutte le parti coinvolte

«Guardo a Bruxelles, dove commissari europei avvertono i cittadini che intendono chiudere i social network in periodi di disordini civili non appena individuano quelli che hanno giudicato, cito testualmente, contenuti di incitamento all’odio. Sono quindi qui oggi non solo con un’osservazione, ma anche con una proposta. L’Amministrazione Biden sembrava disposta a tutto pur di zittire chiunque esprimesse la propria opinione: l’Amministrazione Trump farà esattamente il contrario. E spero che potremo lavorare insieme a Washington».
Fin troppo facile riprendere oggi il discorso pronunciato a Monaco il 14 febbraio scorso dal vicepresidente americano JD Vance e mostrare le palesi contraddizioni di chi criticava l’Europa per i suoi presunti attacchi alla libertà di espressione e oggi sta mettendo in atto una campagna contro i media e gli oppositori della maggioranza repubblicana negli Usa. Proviamo a raffinare l’analisi e a considerare due piani. Il primo è quello che potremmo chiamare del test di realtà. Si fanno eleganti enunciazioni di principio, poi ci si deve confrontare con situazioni complesse e difficili da controllare. Il secondo livello riguarda la strumentalizzazione dell’omicidio Kirk per avviare una stretta sugli avversari e le figure scomode. È una pericolosa sottovalutazione pensare che non ci siano individui o gruppi organizzati che possano compiere atti di violenza politica ai danni di esponenti Maga. I sondaggi dicono che percentuali spaventose di americani approvano l’uso della forza per affermare o difendere le proprie idee. Quindi, esercitare un controllo sui social media, escludere gli intolleranti dichiarati dalle competizioni elettorali, limitare certe manifestazioni pubbliche o specifiche provocazioni di piazza diventano legittimi strumenti che una società democratica può mettere in atto, mantenendo però tutte le garanzie di procedimenti giudiziari indipendenti a tutela di tutte le parti coinvolte.
Si tratta esattamente di quello che hanno messo in atto Ue, Romania, Gran Bretagna e Svezia negli episodi ricordati da Vance nella citata requisitoria anti-europea. E che oggi negli Stati Uniti si sta facendo o ci si accinge a fare, probabilmente senza i contrappesi della divisione dei poteri. La coerenza qui dovrebbe essere rispettata da entrambe le parti. La Casa Bianca, sostenuta da una parte consistente del Paese, scavalca le tutele assolute alla libertà di espressione che voleva applicate nel Vecchio Continente e dovrebbe ammettere le circostanze eccezionali che costringono a questo vulnus al Primo emendamento della Costituzione. I nemici di Trump sono chiamati a distinguere tra le misure introdotte per tutelare la democrazia (lo stesso presidente fu escluso dai social media per il suo linguaggio d’odio) – e che quindi non può essere rimproverato al tycoon – e ciò che invece rappresenta un esplicito attentato al diritto di manifestare le proprie convinzioni e al necessario pluralismo di una società aperta (come ha ben argomentato su queste colonne Danilo Paolini).
Qui veniamo al secondo piano. Le miliardarie cause intimidatorie a media che lo pungolano, la minaccia di revocare le licenze a grandi network televisivi che lo diffamerebbero, le pressioni con l’arma economica e legislativa perché i personaggi più seguiti che ne svelano le debolezze siano rimossi, la messa nel mirino di fondazioni della sinistra, i licenziamenti diretti di chi continua a manifestare dissenso nelle amministrazioni statali, il generale clima di caccia alle streghe: sono tutte mosse che nulla hanno a che fare con il brutale e inaccettabile omicidio di Charlie Kirk. La morte del giovane attivista ha privato l’America di una voce sia amata sia controversa. Questo, tuttavia, non giustifica un’operazione che abbia effetti simili con strumenti diversi e, certamente, meno definitivi.
La stessa figura del paladino della cultura Maga esprime una latente duplicità, nei fatti poi destinata a scelte contraddittorie. Kirk invitava al dialogo franco, al confronto di posizioni basato su argomenti (“dimostra che ho torto”; uno dei suoi slogan), ma era anche autore di liste di docenti sgraditi, fautore di posizioni intolleranti sulle migrazioni e gli stranieri, negazioniste sul cambiamento climatico, con il risultato di polarizzare e infiammare il clima politico. Era testimone di una fede cristiana che, perlomeno in pubblico, diventava anche strumento politico, quindi divisivo invece che inclusivo. Tradotte in scelte concrete, le sue battaglie come si sarebbero orientate? Avremmo voluto saperlo.
Avremmo voluto vedere Kirk proseguire i suoi comizi nelle università. Nessuno può essere ridotto al silenzio in quel modo, va ribadito. A questo scopo si deve oltrepassare qualche confine nel campo dei diritti: per evitare che gli assassini e i distruttori dei sistemi liberali prendano il sopravvento. Ma tutto deve rimanere proporzionato al reale pericolo, e non si deve permettere che nessuno, con la scusa di difendere la democrazia, diventi un uomo solo al comando. Si tratta di una strada stretta e tortuosa, dove i compromessi e gli errori sono all’ordine del giorno. Per questo è vitale che le fonti di informazione, i luoghi del dibattito, i canali del dissenso, la vitalità sociale non vengano limitati o messi sotto controllo, per lasciare parlare l’attivista Kirk come il comico Kimmel. Sia in America sia in Europa.
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