Sulle rinnovabili rischiamo di sbagliare un rigore a porta vuota
Le nuove regole, che riguardano anche le comunità energetiche, rischiano di bloccare l’indipendenza dell’Italia, condannandoci a costi più alti

Le ultime decisioni di politica economica in materia di energia e transizione ecologica, consapevolmente o meno, sembrano orientate ad una strategia masochista. Nel suo discorso inaugurale del 25 ottobre 2022 la premier Meloni ha sottolineato come la priorità del paese dovesse essere «mettere un argine al caro energia e accelerare, in ogni modo, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale», sottolineando come «in particolare il Mezzogiorno, è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree, i fiumi, un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibile». Aveva ragione. Le due più grandi disgrazie economiche della storia del nostro paese degli ultimi cinquant’anni sono state infatti causate dalla nostra dipendenza da fonti di energia di cui non possiamo controllare le oscillazioni di prezzo. Quando nel 1974 arriva la prima crisi petrolifera i prezzi del greggio quadruplicano e gli aumenti dei costi delle imprese scatenano un’inflazione a due cifre che inciderà pesantemente in negativo sulla storia economica del nostro paese. Più recentemente nei due anni post-Covid (inclusi i giorni in cui il discorso d’insediamento è stato pronunciato) i prezzi del gas esplodono per via delle tensioni sui mercati causati dall’aggressione russa all’Ucraina. La fiammata dei prezzi ci riporta l’inflazione a due cifre, responsabile di un forte impoverimento del paese e di quel calo dei salari reali che ancora oggi soffriamo. Il rapporto Draghi è poi tornato sul tema più recentemente, ricordando come un tallone d’Achille di Italia ed Europa sia la dipendenza energetica che aggrava i conti della bolletta per le famiglie e diventa fattore si svantaggio competitivo aumentando i costi di produzione delle nostre imprese. Con il progresso di tecnologie e mercati il problema potrebbe avere facile soluzione: l’Agenzia Mondiale delle Rinnovabili (IRENA) ricorda come le fonti rinnovabili abbiano rappresentato nel 2024 oltre il 90% del totale della nuova capacità di produzione di energia installata nel mondo. In questi ultimi anni molti altri paesi si stanno rendendo rapidamente indipendenti. Guardando alla quota effettiva di elettricità già prodotta da rinnovabili, la Danimarca è arrivata circa all’ 88–89%, il Portogallo all’87%, l’Austria all’88%, la Svezia all’87% e fuori dall’Ue la Norvegia è oltre il 100% ed esporta il suo surplus mentre il Brasile è all’89%.
La buona notizia è che per raggiungere i nostri obiettivi (63% nel 2030) abbiamo bisogno di 8-10 GW di nuove installazioni e gli ultimi dati disponibili da Terna (piattaforma Econnextion) parlano di richieste di connessione alla rete per circa 346 GW. Il nostro punto di forza è dunque nelle energie e nella capacità innovativa di cittadini e imprese. Chiedere alla politica di rimuovere lacci e lacciuoli sarebbe forse troppo, almeno però possiamo sperare che non si mettano bastoni tra le ruote. È quello che purtroppo rischia di accadere se diventeranno operative le ultime decisioni in bozza nel decreto Legge energia sulle comunità energetiche e sulle aree idonee. La dotazione di fondi per la nascita delle comunità energetiche è stata improvvisamente troncata di più della metà, rischiando di vanificare il lavoro di molte comunità e progetti che contavano su questo fattore. Ma soprattutto con l’inasprimento delle regole sulle aree idonee, come ha denunciato l’assessore all’ambiente e all’energia della regione Umbria, diventa molto più difficile fare nuovi impianti. Il diavolo, si dice, si nasconde nei dettagli e nel nuovo decreto ce ne sono vari (estensione delle solar belt, delle distanze dai beni di qualunque tipo degli impianti) che di fatto bloccano le nuove installazioni. Se il decreto restasse così com’è, sarebbe inoltre in contrasto con la normativa europea RED II, esponendo l'Italia a procedure d'infrazione, oltre che a ricorsi sulla sua costituzionalità. Raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza energetica e mettere il paese in salvo rispetto a nuovi rischi di esplosione di prezzo dell’energia è relativamente semplice. Basta dare spazio alle energie del paese. Esagerare nei vincoli e nelle restrizioni, invece, ci condanna a restare per molto ancora, in balìa dei capricci di chi ci vende energia. Quando ci lamentiamo, cittadini, stampa ed opinione pubblica, delle bollette salate, dei prezzi, dei costi di produzione e dell’economia che non riparte non ci dimentichiamo che c’è un calcio di rigore che rischiamo di sbagliare a porta vuota. La nostra speranza (di società civile, cittadini e imprese) che alla fine l’equilibrio e il buon senso prevalga regge. E ci ostiniamo a confidare che alla fine la politica non sbaglierà la mira.
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