Spiragli di pace sul Medio Oriente, un'occasione per la democrazia

Il piano Trump, tra ambiguità e opportunità, apre una prospettiva verso la fine delle ostilità. Ma serve coraggio politico per non sprecare questa opportunità storica
October 6, 2025
Spiragli di pace sul Medio Oriente, un'occasione per la democrazia
Volontari della Ong Rio de Paz con bandiere israeliana, brasiliana e palestinese durante una cerimonia in onore dei bambini uccisi a Gaza sulla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro, Brasile
La Storia ha spiazzato la politica. Hamas è in grande difficoltà a rifiutare il piano Trump. Prima, è stato Netanyahu a non poter dire di no. E lo stesso Trump è stato in qualche modo obbligato a lanciarlo: all’inizio, c’era il piano Gaza Riviera, scandalosa proiezione di potere e di ricchezza basato sulla sostanziale espulsione dei palestinesi dalla loro terra. Anche la politica italiana ne esce stordita. Appare fuori dalla realtà chi chiama delinquenti due milioni di manifestanti - anche se il loro numero era inferiore hanno costituito comunque una novità impressionante - tra cui tanti giovani, anche se nulla giustifica incidenti o violenze. Ma pure sindacati e partiti di opposizione sono stati spiazzati dalla marea umana che ha riempito le città italiane. Persino la Flotilla non può attribuire a se stessa tutto il merito di ciò che è avvenuto. È davvero singolare, infatti, che le questioni di diritto internazionale siano entrate improvvisamente nel linguaggio comune. E colpisce che non basti una grande manifestazione una tantum ma si senta il bisogno di continuare a mobilitarsi, come è accaduto ieri a Roma. Ci stiamo abituando all’idea che il mondo possa andare solo sempre peggio. Ma, all’improvviso, emerge una straordinaria possibilità di pace in Medio Oriente (o, come sarebbe più corretto, in Asia sudoccidentale). Non è tutto oro quel che riluce. Il piano Trump è pieno di ambiguità in cui si nascondono molte possibilità di impedirne risultati efficaci. Il governo israeliano e i capi di Hamas stanno dando il loro consenso tra mille riserve. A tanta giusta solidarietà per il popolo palestinese in tutto il mondo si mischiano non solo l’antisionismo ma anche un risorgente antisemitismo (come mostra l’attentato di Manchester, a due anni dalla tragedia del 7 ottobre). Ma un grido emerge dal profondo: «Basta, si è superato ogni limite». (Magari lo si sentisse anche per l’Ucraina e per altri luoghi di guerra).
Il piano Trump non basta, ma è un’occasione per avviare un vero percorso di pace. La radice del massacro di palestinesi cui assistiamo è riassunta da uno stesso slogan usato in due significati opposti, «dal fiume al mare» - senza gli israeliani per i palestinesi e viceversa - che invita all’annullamento fisico dell’altro popolo. Finora il mondo li ha seguiti in questa affermazione di incompatibilità reciproca. Per uscirne, bisogna andare in direzione opposta. Quella di Hamas è solo una mezza apertura? Non importa, Israele deve interrompere subito l’azione militare. Non è chiaro chi governerà la Striscia? Hamas deve comunque liberare subito gli ostaggi. Il ruolo di Tony Blair sa di colonialismo e di affari? Sarà transitorio. Se il piano avrà successo, il potere di Trump aumenterà ancora? La pace ne condizionerà le scelte future. L’Europa è divisa? Deve prendere subito una posizione unitaria per fermare la strage di Gaza. Riconoscere lo Stato di Palestina – su cui il piano Trump è ambiguo e che Netanyahu continua a escludere – non basta? Bisogna farlo subito perché è un’arma contro l’annullamento del popolo palestinese. Ma, mentre si agisce nell’immediato, bisogna andare a fondo e guardare lontano. Occorre affrontare il nodo dell’incompatibilità reciproca, impedendo che i confini diventino motivi di guerra e bandendo le aggressioni su base identitaria. Si può ancora evitare infatti che si compia un vero genocidio (anche per questo è inopportuno l’attuale uso politico di questa parola). È possibile che questo grido profondo taccia, che le piazze si svuotino e che anche questa chance di pace vada perduta. Il mainstream dominante tornerà a insegnare che i consensi si attirano con l’odio e con la divisione e che le manifestazioni di pace non portano voti. Ma per la politica è rischioso opporsi alla Storia: alla lunga, è sempre questa a vincere. Anche se oggi odio e divisione portano tanti voti facili, è pericoloso ignorare la sotterranea esasperazione dei popoli e i sentimenti più profondi dell’umanità. In un mondo in cui è persino eufemistico parlare di poteri forti, non conviene alla politica schiacciarsi totalmente sulle forze dominanti, sulle regole che queste impongono e sul cinismo che ne deriva: ne risulterà annichilita. Solo ascoltando i popoli e la gente comune, chi soffre e gli ultimi, questa può indicare soluzioni originali ed efficaci ai problemi che chi comanda crea a tutti gli altri. L’occasione che si è aperta per la pace è anche un’occasione per la democrazia, oggi in crisi ovunque ma che forse possiamo ancora salvare.

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