Siamo come cavernicoli hi-tech, dobbiamo disarmare le parole
di Bonaiuto1
Oggi sono tutti pronti a parlare, nessuno ad ascoltare. Per questo papa Leone invoca il “cessate il fuoco” delle parole, per condividere uno sguardo diverso sul mondo

Mi ha sempre edificato la risposta di Simon Pietro all’invito assurdo di Gesù di ritornare a pescare gettando le reti in un mare che già non aveva più nulla da dare. «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (Luca 5,5). La Parola di cui avere totale fiducia trasformando il niente in un tutto, la solitudine in una moltitudine. Da quella parola si ricomincia e la storia riparte.
«Una persona vale quanto la sua parola», insegna un antico proverbio. Fino a pochi decenni fa la parola era più solida di qualunque contratto o trattato, bastava un’intesa verbale per stringere un accordo inscalfibile. Ora invece, in un clima di indifferenza fitta come una coltre di nebbia, assistiamo sgomenti alla perdita di valore della parola e al dilagare dello “spirito di Caino” che sostituisce diabolicamente l’azione violenta, il gesto eclatante, l’invettiva collerica al confronto franco e costruttivo. «Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare che ci chiedono di non cedere mai alla mediocrità», afferma Leone XIV che esorta ad «uscire dagli stereotipi, dai luoghi comuni, dai linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi». Infatti «le parole usate e lo stile adottato sono importanti»: la comunicazione non è solo trasmissione di informazioni ma è «creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto», sottolinea il Pontefice missionario ed educatore. E invece in tutti gli ambiti, dall’inquietante geopolitica della «terza guerra mondiale a pezzi» alle relazioni tossiche che sfociano nei femminicidi tra le mura domestiche e nell’odio sociale, rischia di sgretolarsi l’indispensabile civiltà del dialogo. Per effetto di un paradosso tragico e doloroso, mai quanto adesso siamo inondati dalle tante, troppe parole di una società progressista, super democratica e digitalizzata che proclama retoricamente di aver dato a tutti e a ciascuno la possibilità di esprimersi. Quasi per una legge del contrappasso i giganti di internet hanno scelto termini come “amico” o “community” per significare il loro esatto contrario, ossia contatti social e appartenenze che nulla hanno di realmente amicale o comunitario.
Sotto il profilo spirituale, poi, dall’annuncio evangelico alla Torah e al Corano è proprio sulla parola che si fondano i monoteismi. Si fa spesso riferimento alle parole d’odio ma nessuno rileva il crescente, sotterraneo odio per le parole, strumentalizzate e travisate in ogni aspetto della nostra quotidianità. Come una diga che in ogni istante può straripare e travolgere qualunque argine di umanità, le parole vuote hanno invaso il nuovo millennio facendo emergere una popolazione globale sempre più isolata e bisognosa di gridare al mondo qualcosa e in qualsiasi modo. Tutti pronti a parlare, nessuno ad ascoltare. Un popolo di pseudo eremiti metropolitani, di cavernicoli “hi tech” che non conoscono il vicino di pianerottolo ma lanciano spietati anatemi sul web e spargono veleni su chiunque e su qualunque argomento. I nuovi media, i social, le chat e qualsiasi altro strumento di interazione virtuale prendono sempre più il posto della reale comunicazione. In questo modo, però, viene ammainata la bandiera dell’autentica solidarietà. La condivisione di idee e valori finisce mortificata, umiliata, azzerata e ad essere annichilito è principalmente il compito antico ma sempre nuovo e originale di comunicare e completare se stessi in rapporto al prossimo. Vengono meno, quindi, la vocazione intrinseca alla natura umana e la missione insostituibile di parlarsi guardandosi negli occhi, ascoltando la voce di chi si ha di fronte. Nessuno sembra rendersi conto che si sta perpetrando il più grande autolesionismo della storia e cioè quello delle parole. Nulla ha più valore, nessuna parola conta più di tanto e, come sabbia al vento, tutto oggi può essere ribaltato nel suo contrario. Per questo papa Leone invoca il “cessate il fuoco” delle parole. «Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio. Purifichiamola dall’aggressività – avverte –. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce».
Solo se disarmiamo le parole, contribuiremo a disarmare la Terra. Appunto una comunicazione «disarmata e disarmante» ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la dignità umana. E, come ben sintetizzato dalla saggezza millenaria, «ne uccide più la lingua che la spada».
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