Si candida e la sommergono d'insulti: «Chiedo rispetto per la mamma di Giogiò»
Il figlio musicista fu ucciso a Napoli due anni fa da un delinquente. «Posso non condividere la scelta di Daniela di impegnarsi in politica. Ma nessuno è autorizzato a gettarle fango addosso»

La notte del 31 agosto di due anni fa, un giovane musicista di 24 anni, Giovanbattista Cutolo, detto Giogiò, veniva freddato, a Napoli, con tre colpi di pistola. Il suo altruismo lo aveva portato a intervenire, per riportare la pace, in una inutile discussione. Il suo carnefice, sceso dai “Quartieri Spagnoli” aveva solo 16 anni. L’omicidio faceva seguito, a distanza di pochi mesi, da un'altra efferata tragedia, la morte di Francesco Pio Maimone, caduto sotto i colpi di pistola, sul lungomare. Rimasi sconvolto quando, Daniela, la mamma di Giogiò, già la mattina del giorno seguente, era sul luogo del delitto a gridare non solo il suo dolore ma il bisogno di riportare la legalità, la normalità, la serenità nelle nostre città. Da quel giorno non si è fermata più.
Un vulcano in eruzione. Invitata nelle scuole, nei convegni, durante le manifestazioni contro la camorra, questa donna, ancora giovane e bella, non si è mai tirata indietro. Era inevitabile che le nostre strade si incrociassero. Siamo diventati amici. Lo stile di Daniela non rientra nello stereotipo della mamma-orfana in lacrime e gramaglie. Non piagnucola, grida; non si lamenta, chiede; non invoca, pretende i suoi diritti e quelli dei cittadini. Sa parlare, non si lascia intimorire dalle telecamere, argomenta, ragiona, lotta. Accetta, l’anno dopo la morte del figlio, di calcare il palco di Sanremo per amplificare la sua voce a farla giungere nei palazzi del potere e delle decisioni. Davanti a milioni di telespettatori si presenta truccata e con un abito elegante. Ecco che la simpatia accumulata per la mamma in lutto svanisce e lascia il posto alle critiche più feroci. «Una mamma che soffre non lo avrebbe fatto... cerca visibilità... è una donna egocentrica e vanitosa...», e altre perle del genere. Daniela va per la sua strada.
Credo che solo l’impegno intrapreso riesca ad addolcire lo strazio per la scomparsa di quel figlio che non fece ritorno a casa. La lapide in ricordo di Giogiò, in piazza Municipio, inaugurata alla presenza del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, viene presto vandalizzata. Daniela non si arrende, e tra l’indifferenza e la rassegnazione di chi non crede più in niente e in nessuno, chiede che venga ripristinata. Sarà fatto. Naturalmente la stampa, ma ancor più, il mondo dei social parlano di lei. Qualche giorno fa arriva la notizia che questa donna intraprendente si candida alla Regione Campania. Apriti cielo. I nemici del partito che ha accolto la sua candidatura (la Lega), le persone convinte che una mamma addolorata debba solo piangere e pregare, il mondo della malavita napoletana si scatenano in modo violento. Le offese sui social fanno spavento. La gente si sente in diritto, non tanto di argomentare civilmente il motivo della scelta politica, ma di offendere i suoi sentimenti. Le assurdità non si contano. Era tutto premeditato. Fin dal primo momento, fin da quando il caro Giogiò era ancora all’obitorio, questa donna “scaltra e calcolatrice” avrebbe pensato come sfruttare la morte di quel figlio. Disumani.
Ci sono giorni in cui, pur senza accorgercene, esponiamo l’animo al vento dell’irrazionalità, chissà, forse anche dell’invidia, della gelosia e apriamo la bocca e battiamo sui tasti diventando disumani. Posso non condividere la scelta di Daniela. Posso non essere d’accordo che la sua battaglia andasse a sfociare in politica; posso non capire come abbia fatto a trovare la forza e il coraggio, fin da quando il marciapiede sul quale gridava era ancora sporco di sangue di suo figlio. Non avrò mai ha il diritto di dettare agli altri le modalità per la gestione di un dolore immenso. Rimaniamo umani davanti alla tragedia che ha colpito questa famiglia. Lo dico soprattutto ai napoletani: non è l’abito nero, che tra l’altro più nessuno indossa, a dire se una persona soffra o meno. Non sono le giornate passate al cimitero a lucidare il marmo della tomba a doverci convincere se il suo dolore sia autentico o meno. Chiedo rispetto per questa donna alla quale hanno ucciso un figlio. Nessuno è obbligato a condividere le modalità delle sue battaglie. Ma nessuno è autorizzato e gettarle fango addosso.
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