Sembra tutto solo negativo... eppure continuo a dire: «Io spero!»
Ripartiamo dalla bellezza della famiglia autentica e dal dialogo con i figli. Se vogliamo investire in speranza questo è il momento, perché siamo sul limite del non ritorno

Guerra, violenza, odio, divisioni, morte…: sono le parole più scritte e pronunciate in questi ultimi cinque anni. Non solo dai media, ma anche nella nostra vita quotidiana. Un’abitudine che è diventata pericolosa perché rischiamo di assuefarci a tutto ciò che è negativo diminuendo progressivamente la nostra capacità di credere nella forza della speranza e, aggiungo, nella certezza che non siamo soli e che il Signore è accanto a noi. Ma non dobbiamo cedere a chi vuole farci pensare che tutto sia negativo e che non ci siano spiragli. Contro questa moda del negativo io voglio dire che: Io spero!
Sì, io voglio credere in questa nostra umanità che ciclicamente raggiunge i livelli più bassi possibili trasformando il mondo in sterminati campi di battaglia e cimiteri, provocando sofferenza e dolore senza limiti. Eppure ogni volta, quando tutto sembra perduto, è apparsa all’orizzonte una donna o un uomo provvidenziali che hanno cambiato le sorti della storia del mondo. Un elenco lungo, lunghissimo di santi e sante che hanno saputo sperare, testimoniando il Vangelo. Tutto qui, e non è poco. Di questi ultimi anni ho davanti agli occhi come in un caleidoscopio le immagini che scorrono veloci di troppe lacrime versate e pianti inascoltati. Penso a quella terza Guerra mondiale che è stata evocata tanto spesso da papa Francesco e che è diventata una consuetudine delle nostre cronache quotidiane. Non ci facciamo più caso, e questo è tremendo. Se vogliamo investire in speranza questo è il momento di farlo, perché ho l’impressione che siamo sul limite del non ritorno. Eppure, continuiamo tutti la nostra vita frenetica. Fermiamoci a pensare ad esempio a quale mondo stiamo lasciando ai nostri giovani. Gli facciamo credere in una vita patinata senza sofferenza, delusioni o sconfitte. Li facciamo vivere eternamente in una fiction, che non esiste. Ma io continuo a dire che spero!
Nonostante tutto, quando mi guardo attorno, quando ascolto i nostri giovani, rimango meravigliato di quanta profondità umana, sensibilità e qualità hanno, ma anche delle loro tante inquietudini, soprattutto nel contesto attuale dove il mondo degli adulti non è di grande aiuto, non li sostiene ne coltivare la speranza, e manca un’offerta veritiera in termini valoriali di qualcosa per cui spendersi e costruire quel futuro, che – comunque – arriva: il problema si pone sul come lo facciamo arrivare. A loro, alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, dico: speriamo insieme! Come credenti in Cristo abbiamo bisogno di centrare continuamente l’attenzione del cuore sul capitolo 15 del Vangelo di Giovanni: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Quel «senza di me non potete fare nulla» implica un’accoglienza e una scoperta continua di Colui che è Signore e liberatore integrale della creatura umana, soprattutto da certi lacci che ne esautorano la relazione con Dio datore della vita per Amore. Il fatto è che il bene esiste, ma non fa notizia. Sì, proprio così: ci fanno pensare solo al lato oscuro della vita perché così “conviene”. Se si è impauriti, disorientati e soli allora è più facile essere manipolati, indirizzati. Ma ancora una volta diciamo: noi speriamo!
Per fare questo tuttavia dobbiamo riprenderci quello che è nostro. Nulla di violento, intendiamoci: solo un riappropriarsi dei propri spazi vitali, naturali e necessari. Penso ad esempio alla famiglia: quale migliore strumento di speranza di questo! Eppure, ci stanno facendo credere che non serva più. Sminuire il suo ruolo centrale significa fare acquistare rilievo a valori fasulli, a vere e proprie patacche fatte passare per oro. Non più “mamma e papà” ma “genitore uno e due”, non più la famiglia centrata su un uomo e una donna ma qualcosa di aperto e “liquido”... Qui la speranza rientra in campo. Dobbiamo mettercela tutta non per fare guerre ideologiche ma per dimostrare che senza la famiglia – quella vera, che da migliaia di anni garantisce il futuro all’umanità intera – andremo solo alla deriva. I social network, il mondo virtuale, le mode, le ideologie “a priori” non possono costituire la nostra famiglia. Meritiamo di più: abbiamo bisogno di quell’amore senza riserve che ci viene donato dai genitori come atto di suprema speranza nel domani che traspare in noi. E così a nostra volta faremo lo stesso con i nostri figli. Interrompere questo flusso di vita è pericoloso per tutta l’umanità. Non auspichiamo “roghi” delle idee di chi non la pensa come noi, naturalmente: desideriamo avere la possibilità di dire la nostra senza sembrare fuori moda. E allora dico: io spero nella famiglia!
La nostra oggi – sembra assurdo dirlo – è una rincorsa a riprendere ciò che naturalmente dovrebbe essere nostro, ad esempio il dialogo con i figli. Sono un sacerdote, un vescovo, un cardinale, ma da quello che sento dai tanti genitori che incontro il problema principale è che “ci hanno tolto i figli” (in senso virtuale): la loro mente, il loro cuore spesso sono lontani e presi da tante cose vuote e pericolose.
Parliamoci chiaro: la responsabilità di tutto questo è di noi adulti, che ci siamo fatti relegare in un angolo della loro vita, forse pensando che offrirgli regole e insegnamenti fosse un gesto autoritario e fuori tempo. Ma sappiamo bene che educare con amore in una famiglia significa donare speranza in un domani fatto di certezze fondate e di rispetto per gli altri. Suggerisco sempre ai genitori, anche durante la celebrazione delle Cresime, di stare attenti a non interrompere mai il dialogo con i propri figli, anche se deve, necessariamente, cambiare il modo di svilupparlo con il crescere della loro età. Per tutto questo, dunque, io spero! Io spero che i giovani tornino ad amare l’amore, quello vero, basato sul rispetto e sulla reciproca conoscenza. Penso ai femminicidi, alla base dei quali c’è sempre una percezione distorta e possessiva dell’affetto, e dove spesso è scomparsa la famiglia. Purtroppo.
Dobbiamo sperare con i nostri figli, e per loro. Hanno tanto bisogno di certezze, di affetto, di ascolto, e anche di fermezza. La canzone di Lucio Corsi che tanto successo ha ottenuto al Festival di Sanremo ci ha spiegato di questa generazione di “duri” presunti, uno stato d’animo diffuso: «Volevo essere un duro, che non gli importa del futuro. (...) Una gallina dalle uova d'oro. Però non sono nessuno»... No, non è vero che “non siamo nessuno”, siamo tutti speciali agli occhi di Dio. Credo sia il tempo di sperare insieme, per combattere la solitudine indotta che ci viene instillata ogni giorno. Noi non siamo soli! Noi speriamo, senza vergognarcene mai.
Tutti noi credenti abbiamo anche una responsabilità grande nei confronti di coloro che non sanno più sperare. Non è vero, come si sente dire, che “in chiesa non viene più nessuno”, e che quindi sperare sarebbe illusorio. Intanto cominciamo a dare una testimonianza vera del nostro essere cristiani, testimoni attivi della speranza che è Cristo, non aspettiamo che qualcun altro lo faccia al posto nostro Tocca a noi. Forse il Giubileo voluto da papa Francesco e ora portato avanti da papa Leone ha come finalità proprio la nostra capacità di rimettere in moto la voglia di cambiare il mondo non con le armi ma con la forza della solidarietà, dell’accoglienza. Della speranza. C’è tanto bene che, silenzioso, ogni giorno cresce e va avanti, ma del quale i media non si accorgono. A noi questo non interessa. Io spero, nonostante tutto e tutti, in questa umanità sofferente. Io spero che l’amore vinca. Gesù ce lo ha dimostrato. Ci aspetta il chiarore, la luce, il sole: non abbassiamo lo sguardo, alziamolo sempre. Ne resteremo sorpresi.
Cardinale, Arcivescovo di Siena-Colle di Val D'Elsa-Montalcino, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza
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