Quelle morti annunciate che ci interpellano. Ma cosa fare?
La tragedia di due fratelli seguiti da un centro di igiene mentale. Una donna che si sta lasciando morire. La carità cristiana, e ancor prima, la solidarietà umana, ci impongono di intervenire

Povera mamma. Suo figlio le fa una videochiamata sul posto di lavoro. Risponde, felice di essere pensata. Un istante solo, poi il mondo le crolla addosso. Vincenzo, 25 anni, le mostra il corpo agonizzante di Noemi, l’altra figlia, che lui ha appena accoltellata. «Me l’ha ammazzata. Questa volta me l’ha ammazzata«», le sue grida disperate ci agghiacciano. Ai carabinieri, da lui stesso chiamati, l’assassino, dice: «È stato un raptus di follia». «Morte annunciata», dicono i vicini. Entrambi i fratelli erano seguiti da un centro di salute mentale. Non stavano bene, quindi, avevano bisogno di essere accuditi e curati con più attenzione, più professionalità, lontani da casa, in un luogo più appropriato. I vecchi manicomi furono un disastro. Tra quelle triste mura si sono consumati tante dolorose ingiustizie. La loro chiusura è stato un segno di civiltà, di dignità, di fraternità. Quei non-luoghi, opprimenti e, a volte, disumani, andavano smantellati. Resta, però, il problema delle persone fragili, il cui peso ricade, quasi sempre, sulle spalle della sola famiglia. E, quando all’interno della stessa casa, i casi problematici, sono più di uno, sovente accade l’irreparabile. A Nola, nel Napoletano, Vincenzo ha ucciso Noemi. Non è del tutto responsabile. La loro mamma è costretta a lasciarli soli per andare a lavorare in un’impresa di pulizie. Immagino la stanchezza fisica e mentale di questa povera donna quando fa ritorno a casa. I due litigano. «Accadeva spesso», dicono i vicini. Poi il mortale epilogo…
Giovanna, invece, è una donna sudamericana. Una sorta di fantasma. Non ha niente, non chiede niente, non vuole niente. Si è costruita una capannuccia sul bordo della strada. Non parla con nessuno, non dà fastidio a nessuno, non aggredisce nessuno. Sta là. Gaetano, un giovane papà della nostra comunità, le porta, ogni mattina, la colazione. Lei accetta e ringrazia con un cenno della testa, ma guai a parlarle di un trasferimento in una struttura. Da qualche settimana, Giovanna non esce più dalla minuscola tenda. Si è ammalata. Gaetano, adesso, provvede anche per il pranzo e la cena. Avrebbe bisogno di essere curata. Avvertiamo il sindaco del paese, Crispano, che a sua volta allerta i servizi sociali. Giovanna, però, non accetta alcuna proposta. Niente. Resta là a morire lentamente. Una sberla in pieno viso. Contro la sua volontà non possiamo andare. Anche un nuovo “Trattamento Sanitario Obbligatorio” – già altre volte attuato - lascerebbe il tempo che trova. Un'altra strada non c’è. Le nostre leggi non la prevedono. Giovanna toglie il sonno alle persone più sensibili; per gli altri, per quelli che «ognuno fa quello che vuole, ognuno è libero di morire come vuole e quando vuole», è solo qualcosa di ingombrante. C’è un vuoto da colmare. Occorre mettere i sindaci, le amministrazioni comunali, le comunità parrocchiali, i medici, le famiglie, i volontari nelle condizioni di potere agire per il bene delle sorelle e dei fratelli più fragili prima che accadano irrimediabili fatti di sangue. Con questo freddo, sono convinto che, qualche mattina, troveremo Giovanna assiderata. Una malattia che nessuno conosce la sta consumando. Nella sua lucida follia lei non vuole essere visitata né curata. Nessuno conosce la sua storia, nessuno è mai entrato nei meandri del suo cuore e della sua psiche. Ai bordi della Strada Provinciale Caivano- Aversa, tra le erbacce e i rifiuti, una donna si sta lasciando morire sotto i nostri occhi. Non è giusto.
La carità cristiana, e ancor prima, la solidarietà umana, senza la quale questo mondo si trasformerebbe in un girone infernale, ci impongono di fare qualcosa. Ma cosa? La morte annunciata di Noemi, pesa sulle coscienze di tutti. Sua mamma non meritava, dopo anni di sacrifici e di rinunce, di perdere due figli contemporaneamente. Troppe sono le persone che avrebbero bisogno non di essere richiuse nei vecchi manicomi ma di essere curate, seguite, aiutate adeguatamente. Troppe sono le famiglie in Italia sulle cui spalle cade tutto il peso della malattia psichiatrica di un parente. Troppe anche le persone – vicini di casa in particolare ma anche gente del tutto estranee – che corrono seri rischi di rimanere vittime di chi soffre di patologie psichiatriche quando perdono il controllo delle proprie azioni. Occorre riempire un vuoto legislativo. Occorre farlo presto. Occorre salvaguardare chi soffre e coloro che gli vogliono bene; chi entra in contatto con loro e l’intera società. È triste, davanti a un orribile delitto come quello avvenuto a Nola nei giorni scorsi, sentire dire che è stata «una morte annunciata».
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