Quattro verità sull'immigrazione che cambiano la prospettiva

Verso il Giubileo del mondo missionario e dei migranti l'opportunità di modificare lo sguardo. Un fenomeno globale, fatto non solo di barconi, in gran parte femminile, vittima di politicizzazioni
October 2, 2025
Quattro verità sull'immigrazione che cambiano la prospettiva
Middle East Images/ABACA |
Accogliere gli immigrati missionari di speranza – nel fine settimana il Giubileo del mondo missionario e dei migranti – richiede un cambiamento dello sguardo, e una conoscenza più fondata del fenomeno può contribuire a muovere in questa direzione. Cerchiamo quindi d’individuare alcune tendenze salienti della mobilità umana attraverso le frontiere. Globalmente, gli immigrati internazionali nel mondo sono stimati dall’Onu in 304 milioni (dato 2024), il 3,6% della popolazione mondiale. Di questi, 51,6 milioni sono rifugiati internazionali o richiedenti asilo: circa un sesto del totale.
Ma il dato complessivo dice poco: una prima tendenza è la differenziazione delle forme e dei tipi d’immigrazione. Non solo gli immigrati in minima parte sbarcano dal mare, mentre la grande maggioranza entra in modo regolare. Ma tra gli immigrati troviamo studenti, medici e operatori sanitari, professionisti e imprenditori, familiari ricongiunti, assistenti familiari degli anziani, persino pensionati che vanno verso Paesi dai climi più miti e costi più bassi. Dovremmo domandarci non se siamo favorevoli o contrari all’immigrazione in astratto, ma con riferimento a categorie specifiche d’immigrati.
Una seconda tendenza è la globalizzazione del fenomeno. L’idea che gli immigrati muovano dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, o dal Sud America verso gli Stati Uniti, è una rappresentazione ansiogena che alimenta le chiusure. In realtà, si è ampliato il numero dei Paesi di origine e di accoglienza nel mondo. Regioni come il Golfo Persico o l’Estremo Oriente sono diventate importanti poli di attrazione d’immigrati di diverso livello. I più importanti Paesi d’origine sono nell’ordine India, Messico, Russia, Cina. Paesi intermedi, non poverissimi. Molti Paesi sono nello stesso tempo luoghi di origine, di approdo e di transito dei flussi migratori: tra questi Turchia, Messico, Marocco, la stessa Russia, e pure l’Italia. Importante anche notare che i migranti non vanno solo dal Sud del mondo verso il Nord, ma anche in direzione opposta, così come vanno dal Nord verso altri Paesi del Nord (pensiamo alla nuova emigrazione italiana), e dal Sud verso altri Paesi del Sud, o in posizione intermedia: questi accolgono oltre il 70% dei rifugiati internazionali, oltre ad apparire come luoghi che possono offrire qualche opportunità a chi viene da contesti più travagliati. Dal Venezuela in questi anni sono partiti 6,2 milioni di cittadini verso la Colombia, il Brasile, il Perù e altri Paesi del Sud America.
Un terzo trend internazionale riguarda la femminilizzazione delle migrazioni, e soprattutto delle migrazioni per lavoro. Le donne sono quasi la metà dei migranti internazionali, la maggioranza in Italia e nell’UE. Insieme ai ricongiungimenti familiari, la crescente domanda di servizi domestici, assistenziali e sanitari sollecita la mobilità internazionale al femminile. Molte donne conquistano così un’emancipazione pratica, ma pagano anche il prezzo della separazione dai figli, affrontando la sofferenza della maternità transnazionale.
Ultimo e inquietante aspetto è la crescente politicizzazione e securitizzazione della mobilità umana attraverso i confini. Sappiamo quanto la rappresentazione dell’immigrazione come invasione abbia favorito il successo delle forze che vogliono la chiusura delle frontiere. Anche quando, come sta accadendo ora in Italia, all’ostilità dichiarata si contrappongono un po’ in sordina misure di sostanziale apertura verso i lavoratori richiesti dai sistemi produttivi e dalle famiglie. Governi e società riceventi sono in definitiva “importatori riluttanti” d’immigrati: non li vorrebbero, ma si trovano nella necessità di accettarli. E gli immigrati finiscono per essere richiesti, ma non benvenuti. La relativa accettazione sul lavoro si scontra con le resistenze verso l’integrazione extralavorativa, abitativa in primo luogo. Non si possono però importare solo le braccia, senza accogliere le persone e le loro famiglie. Ne va della qualità della convivenza e della coesione sociale di domani.

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