Primo: fermare l'inutile strage. Poi si corregga il piano Trump

L'accordo tra israeliani e palestinesi proposto dalla Casa Bianca sembra ignorare questi ultimi. Eppure, nonostante i distinguo e i legittimi dubbi del mondo arabo, conviene sperare che Hamas dica sì
October 2, 2025
Alla vigilia dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica, nel giugno del 1941, Winston Churchill pronunciò una delle sue frasi memorabili: «Se Hitler invadesse l'inferno, farei almeno un riferimento favorevole al Diavolo alla Camera dei Comuni». Oggi, in un contesto molto diverso, dovremmo avere lo stesso spirito, nel giudicare la proposta di pace fatta dal presidente statunitense Donald Trump, con a fianco Benjamin Netanyahu, a capo del governo più estremista della storia di Israele. Qualunque offerta di pace, fosse anche la più improbabile, va accolta subito, se serve a far finire l’immane strage di civili, se utile a non dover conteggiare altri bambini, donne e uomini palestinesi innocenti massacrati a Gaza.
E quindi confidiamo che le pressioni dei Paesi arabi su quanto resta della dirigenza di Hamas abbiano effetto, e che il movimento islamista accetti la proposta di Trump, nonostante molti segnali facciano temere un rifiuto. Certo, pur andando oltre gli usuali proclami da megalomane del presidente statunitense, pur ignorando gli incredibili sfondoni storici – che lo hanno fatto parlare di un piano di pace eterna per il Medio Oriente che pone fine “a migliaia di anni di guerre” fra ebrei e palestinesi – le perplessità dinanzi a questa offerta di pace restano e sono diverse. E vanno pertanto analizzate.
Innanzitutto, si tratta di un accordo di pace fra israeliani e palestinesi che non considera questi ultimi: sono semplice oggetto della trattativa, ma mai un soggetto con una voce e una rappresentanza. Anche la stessa Autorità Nazionale Palestinese – certo corrotta e inefficiente – viene del tutto ignorata e bypassata. Un vulnus grave, reso ancora peggiore dalla decisione di creare un comitato internazionale che gestisca la ricostruzione dal sapore vetero coloniale. Al vertice, Trump ha messo se stesso, e si sa che avrà un ruolo di importanza particolare anche lo screditato ex primo ministro britannico Tony Blair, uno degli artefici della disastrosa invasione anglo-americana dell’Iraq nel 2003. La Palestina ha già avuto governatori britannici un secolo fa, quando Francia e Gran Bretagna si spartirono i territori del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero ottomano. Non finì bene allora, non sembrano esservi le premesse per un successo di un piano di pace così sbilanciato a favore di Israele, che chiede di fatto la resa incondizionata di Hamas, che dice ai palestinesi che essi non hanno diritto ad amministrarsi, e che lascia nel vago l’impegno di Israele a ritirarsi dalla Striscia.
Eppure, come detto, quali che siano i punti deboli, gli aspetti poco chiari e le contraddizioni di questo piano, è bene che la proposta venga comunque accettata. I Paesi arabi e musulmani, che secondo Trump sono entusiasti, mostrano invero qualche perplessità – a partire dal Qatar, che pure sta cercando di convincere Hamas – ma sembrano essere disposti a imbarcarsi in questa avventura. Finora il loro ruolo è stato molto defilato, tranne che per i governi del Cairo e di Doha, ma sarebbe fondamentale che tutti si facessero coinvolgere effettivamente, e diventassero attori attivi di questo tentativo di accordo di pace. Perché una loro azione potrebbe smussare i tanti aspetti problematici della proposta di Trump, tramite un processo progressivo e incrementale di miglioramento e di coinvolgimento anche della componente palestinese, che deve necessariamente avere una voce e un ruolo.
Fermare la strage a Gaza è l’obiettivo immediato. Far affluire gli aiuti e pianificare una ricostruzione senza che i palestinesi debbano abbandonare la Striscia è il passo successivo; creare le condizioni per un’amministrazione palestinese unitaria e per porre le basi per la nascita di uno stato palestinese l’obiettivo a cui guardare. È evidente come alcune delle condizioni che Netanyahu ha preteso fossero inserite nella proposta di pace sembrino voler spingere Hamas a dire di no.
Perché non è un mistero che la destra israeliana punti proprio a quello: ricevere un no, per poter aver mano libera a Gaza e in Cisgiordania e portare avanti i loro disegni messianici e iper-nazionalisti. Al contrario, accettare una proposta, per quanto sbilanciata possa sembrare, permette di fermare la strage quotidiana di innocenti commessa dalle forze militari israeliane. Per sperare, che l’accidentato, arduo sentiero verso la pace a Gaza possa essere infine percorso e reso via via meno squilibrato. Ma bisogna pur cominciare.

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