Perché per la pace in Ucraina c'è una partita da giocare anche con la Cina
Il vertice di Roma ha rilanciato il fronte filo-ucraino, ma la sfida geopolitica resta aperta. La diplomazia europea dovrebbe guardare a Pechino, che tesse la sua tela di interessi in silenzio

Se è stato detto “fatta l’Italia, dobbiamo fare gli italiani”, per l’Ucraina vale oggi il contrario. Negli oltre tre anni di guerra, si è tragicamente cementato un popolo desideroso di fare parte a pieno titolo dell’Europa, ma si deve salvaguardare e ricostruire un Paese sistematicamente colpito e occupato dall’invasore russo. La conferenza internazionale svoltasi sino a ieri a Roma, in contemporanea con il summit dei Volenterosi in appoggio a Kiev, ha segnato un altro passo verso il rafforzamento di un fronte convintamente filo-ucraino. Benché la mobilitazione e l’attenzione delle opinioni pubbliche occidentali siano inevitabilmente andate scemando al prolungarsi dei combattimenti di trincea, il temuto disimpegno degli Stati non si è realizzato. Mentre il pendolo di Trump continua a oscillare tra i due campi nemici, l’Europa e altre nazioni occidentali mantengono gli sforzi per impedire il tracollo ucraino e si attrezzano sul lungo periodo per contenere la sfida di Mosca.
Il conflitto si trova oggi in una fase di logoramento a lungo termine. La Russia punta a sfinire l’Ucraina con la supremazia nei cieli e i bombardamenti su obiettivi civili, sfruttando le ambiguità politico-militari della Casa Bianca. A Washington si assiste infatti a un’altalena di telefonate tra leader, annunci di stop alle forniture e ripresa degli invii, spinte per un cessate il fuoco favorevole all’aggressore e minacce di altre sanzioni allo stesso interlocutore prima blandito. Kiev per ora resiste, sperando in una rinvigorita difesa antiaerea basata sull’innovazione tecnologica e, soprattutto, l’aiuto di Usa e Ue.
L’Unione sembra oggi avere compiuto il salto strategico verso un appoggio quasi “irreversibile”, seppure la variabile americana resti critica. Il triangolo Parigi-Londra-Berlino riporta la Gran Bretagna nell’orbita di Bruxelles per quanto riguarda la Difesa, e il progetto di un ombrello atomico aperto dalle due potenze nucleari nonché detentrici di un seggio al Consiglio di Sicurezza Onu dà un segnale forte al Cremlino.
Quello che manca è l’altro grande attore internazionale, la Cina, che sulla crisi ucraina ha sempre giocato con astuzia e sagacia orientali. Pechino ha continuato ad affiancare la Russia diplomaticamente, economicamente e con forniture tecnologiche a “doppio uso”, evitando però l’invio diretto di armi. Nello stesso tempo, ha proposto molteplici iniziative e piani di pace, senza esito ma funzionali a dare un’immagine di mediatore, come hanno sottolineato di recente gli analisti Graham e Liu. Il governo del Gigante asiatico evita di definire l’“operazione militare speciale” di Putin un’“invasione” e, seppure non abbia formalmente riconosciuto l’annessione dei territori rivendicati da Mosca, si è sempre astenuto dal condannare l’azione russa. Funzionari e media statali rilanciano la narrazione di Mosca, incolpando la Nato, gli Stati Uniti e l’Occidente per il conflitto. Da parte sua, Xi Jinping, che tesse la sua complessa e ambiziosa tela di leadership globale, non ha mai messo in discussione la «partnership strategica sino-russa per la nuova era». Negli ultimi tre anni, lui e Putin si sono incontrati più volte – almeno sei di persona – per cementare un’amicizia senza incrinature. Pechino di fatto guadagna margini di manovra mantenendo viva la partnership con Mosca, senza pagare per ora il costo di sanzioni secondarie. La guerra in Ucraina è un buon modo, alla fine, per tenere impegnata l’America sul versante europeo impedendole di concentrare le sue energie nella sfida a due nell’Indopacifico per la posizione di preminenza geo-politica ed economica planetaria. L’Impero di mezzo ottiene così un lento dissanguamento di tutti i soggetti impegnati nella contesa, compreso l’alleato russo, sempre più ridotto al ruolo di socio minore nella costruzione di un fronte alternativo che faccia perno sul Sud globale. Il quale continua a preferire un non allineamento pragmatico, interessato più all’energia e al commercio che alla condanna delle violazioni del diritto internazionale.
Giova tuttavia ricordare che l’Ucraina fa parte della Belt and Road Initiative (la cosiddetta Via della Seta) dal 2017. Prima del 24 febbraio 2022, la Cina deteneva quasi 3 miliardi di dollari in contratti legati al progetto. Probabilmente quegli investimenti sono stati vanificati, ma Pechino non ha protestato; la sua perdita economica è stata irrilevante rispetto ai guadagni strategici ottenuti con la guerra. Ma il bilancio di Xi, che probabilmente rimane il vero freno all’uso di armi atomiche tattiche da parte di Putin, potrebbe essere meno positivo se la determinazione occidentale a sostenere Kiev diventasse strutturale e i costi per chi sta con Mosca aumentassero. Proprio in tema di ricostruzione, la Cina potrebbe fare la parte del leone in un Paese finalmente pacificato e ancora ricco di risorse, al netto delle concessioni minerarie già ottenute da Trump. Ancora una volta, più di un’America ondivaga e combattuta fra chiudere la partita ucraina o dare qualche ulteriore vantaggio a Pechino, dovrebbe essere l’Europa a provare l’aggancio in chiave di diplomazia allargata. La prima occasione si avrà con il vertice bilaterale proprio a casa di Xi Jinping il prossimo 24 luglio. Un’opportunità da non sprecare.
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