Perché nei rapporti in famiglia dobbiamo bonificare la memoria
La vicenda di una lite tra sorelle mostra come la comprensione e il perdono aiutano a liberarsi dalla schiavitù del proprio passato, migliorando le relazioni

La memoria è il deposito della nostra ricchezza, perché lì possiamo ritrovare la nostra storia e le radici di quello che siamo: vi si trovano le tracce della nostra esperienza, sotto forma di ricordi, pensieri, emozioni, sensazioni, immagini. Ma la memoria, contrariamente a quanto tendiamo a pensare, non è ancorata a dati solo oggettivi: ognuno di noi infatti archivia la propria esperienza in modo soggettivo, e la memoria fissa ciascuno di noi in un tempo, in un luogo, in un modo di essere assolutamente personali, di cui l’oggettività del dato è solo una parte. Per questo, quando cerchiamo di condividere il ricordo di eventi passati con chi li ha vissuti insieme a noi, diventa evidente che ogni lettura della storia comune è parziale, anche se legittima. In particolare, quando gli eventi che riportiamo alla memoria sono negativi, il fatto di prendere alla lettera la nostra versione dei fatti senza provare a contestualizzarli rischia di rendere impossibile ogni processo di comprensione e di perdono, e ci rende prigionieri del nostro passato, togliendoci la libertà di andare oltre. Forse il breve racconto di una storia può essere d’aiuto per comprendere meglio ciò che sto affermando.
Marta, 60 anni, non riesce a staccarsi da un episodio molto sgradevole: la lite con Francesca, una sorella di cinque anni più giovane. Dopo la morte della madre i fratelli dovevano incontrarsi per dividere alcuni oggetti che le erano appartenuti, e Francesca, che non poteva essere presente, aveva chiesto di rimandare l’incontro; Marta però doveva partire per vacanze organizzate da tempo, e ha insistito perché l’incontro avvenisse ugualmente, trovando l’accordo degli altri fratelli. Hanno così diviso gli oggetti della mamma (tutte cose di poco valore) cercando di tenere conto anche della sorella assente; Marta aggiunge che, sentendosi un po’ in colpa per non averla aspettata, aveva addirittura lasciato a lei una collana che la mamma aveva sempre al collo e che le sarebbe piaciuto tenere per sé. Due mesi fa, però, Francesca ha aspettato il momento di trovare Marta da sola e l’ha aggredita con parole pesanti e inaspettate; l’ha accusata di aver approfittato della situazione, di averla tagliata fuori, e per di più di averlo fatto con l’aria di farle un favore. «Tu sei sempre stata così» le ha gridato «Riesci sempre a sembrare quella buona, quella generosa! E invece te ne freghi degli altri e non te ne accorgi neanche. Pensi di essere la migliore, e sei una persona falsa!». Marta è rimasta sconvolta: ha provato un sentimento profondissimo di ingiustizia e un dolore sordo che da quel momento non l’ha più abbandonata. Le parole di Francesca le risuonano nel cuore come una spina; non è stato sufficiente parlarne con l’altra sorella, che l’ha rassicurata; e nemmeno dire a se stessa che Francesca ha dei problemi suoi, che non la riguardano. Quelle parole continuano a risuonarle dentro: è stato toccato un punto di vulnerabilità e Marta, da sola, non riesce a trovare pace.
Questo episodio di incomprensione tra sorelle ci aiuta a riflettere sull’influenza che il modo di ricordare gli eventi della nostra storia continua ad avere anche al presente nelle relazioni, togliendoci la libertà di leggere con occhi nuovi ciò che ci accade. Proviamo dunque a leggere l’episodio attraverso alcuni elementi della storia di queste sorelle. Marta è la primogenita di cinque fratelli; dopo di lei sono nati due maschi molto vicini di età, e poi Francesca. A distanza di altri quattro anni è arrivata l’ultimogenita, amata e coccolata da tutti. Il ricordo che Marta ha di sé è quello di una bambina “buona”: la mamma aveva molto da fare con tutti quei figli piccoli, e lei ha sempre cercato di non esserle di peso. Durante la gravidanza della sorellina più piccola la nonna materna si è ammalata ed è morta in pochi mesi; la mamma di Marta ne ha sofferto moltissimo, scivolando in una sorta di silenziosa depressione, non riconosciuta e perciò neppure curata. Marta adorava la mamma, e si è sforzata di essere “ancora più buona”; la mamma gliele era riconoscente, la gratificava e questo la faceva sentire importante. Francesca, che allora non aveva ancora 5 anni, ha reagito in un modo diverso: è diventata capricciosa e difficile. Con gli occhi di oggi, Marta può capire che la sorellina cercava probabilmente di attirare l’attenzione di una mamma sempre affaticata e distante, ma quando aveva solo 10 anni non poteva capire: Francesca veniva sgridata e messa in castigo, lei invece trattata da bambina responsabile, di cui ci si può fidare, e ne era fiera.
Quando la mamma si è ripresa, i ruoli in famiglia si erano come fissati: lei è rimasta la figlia tranquilla e che non dava problemi, e Francesca la figlia ribelle. Marta ricorda anche di avere provato invidia per Francesca, capace di contrastare con decisione i genitori e di fare quello che le andava a genio: alla sua età lei non ne era stata capace, e si sentiva come se non avesse vissuto fino in fondo l’adolescenza. Nel tempo ha cercato di acquisire un senso di sé più definito, meno conforme alle aspettative degli altri, e oggi è abbastanza soddisfatta dei risultati raggiunti. Vive il passato e la sua famiglia di origine come parti di un’altra epoca della vita: la sua famiglia, oggi, è quella che ha costruito con il marito e con i loro bambini, anche se verso Francesca prova un lieve senso di colpa, perché la vita della sorella sembra essere anche oggi più tormentata e meno riuscita della sua. Come commentare?
Essere fratelli ci accomuna in una stessa memoria, che però ciascuno racconta a se stesso in modo diverso: in questo caso Francesca, che aveva solo 5 anni, racconta una storia di preferenze vissute come profonda ingiustizia; Marta invece la storia di una bambina che ha fatto del suo meglio per essere all’altezza delle aspettative degli adulti, senza poter capire ciò che viveva la sorellina. Nessuna delle due ha ragione, e nessuna delle due ha torto: hanno solo vissuto due prospettive differenti. Questa lettura infantile era forse inevitabile, ma ha fissato nel loro cuore un’immagine parziale della realtà, rendendo loro difficile allargare lo sguardo per vedersi oggi come due adulte. In famiglia, come fratelli ma anche come coniugi o figli o genitori, si continua spesso a rimanere ancorati alla nostra versione degli eventi passati, soprattutto quelli che ci hanno fatto soffrire; per questo motivo, spesso bastano piccoli episodi a provocare grandi incomprensioni, che possono apparire incomprensibili a chi osserva dall’esterno: quando questo accade, significa che il presente ha agganciato un punto doloroso del passato facendolo risuonare, e dando alimento a un dolore che non è mai guarito e che si esprime ora con rabbia.
Questo ci fa dire che l’altro non è cambiato, che non può cambiare, che è sempre la stessa persona che ci ha fatto del male; interpretiamo le sue intenzioni di oggi con il codice di ieri, e ci agganciamo in un circuito comunicativo senza via di uscita. In questo modo, però, stiamo togliendo alla nostra relazione la possibilità di cambiare. L’anno giubilare ci invita a provare a comprendere queste dinamiche, e ad esercitarci nel guardare le cose da una prospettiva diversa: tutti possiamo cambiare, e nessuno desidera venire inchiodato per sempre ai propri limiti o ai propri errori. Bonificare la memoria è necessario per liberarci da un’altra delle nostre schiavitù, la schiavitù del passato; significa guardare le cose da una maggiore distanza, imparare a contestualizzarle, e ricordare che l’altro è sempre più dei suoi errori. È un modo importante per aprire la strada alla possibilità di dare nuova vita alle relazioni.
(3 - Continua)
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