Perché l'inclusione degli stranieri deve diventare la normalità

Il segnale lanciato da Viminale e Cei sull'integrazione si inserisce nella collaborazione istituzionale tra la Chiesa italiana e governi di ogni colore. Ora si acceleri sull'idea di corridoi umanitari
June 12, 2025
Perché l'inclusione degli stranieri deve diventare la normalità
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L’intesa appena siglata tra Viminale e Cei per favorire l’integrazione dei migranti che ne hanno diritto con iniziative di accoglienza e inclusione può finalmente favorire una crescita dell’opinione pubblica su un tema decisivo da tempo polarizzato e paralizzato. Oggi fanno paura a molti italiani gli arrivi via mare. Gli sbarchi creano la paura dell’invasione, ovvero la mobilità forzata di chi fugge da guerre, persecuzioni e violenze. Lasciamo da parte le responsabilità dei media e le strumentalizzazioni politiche, parliamo solo di cifre. Come ha ribadito ieri l’Unhcr, il quadro mondiale è tragico con 122 milioni di profughi, raddoppiati in 10 anni, e anche se i tagli apportati dall’amministrazione Trump e dai Paesi del G7 agli aiuti umanitari fanno prevedere una intensificazione della mobilità verso Europa e Italia, non c’è nessuna invasione.
Nel 2024 sono arrivate infatti 66 mila persone via mare e a metà 2025 siano a 26mila arrivi. E alla fine del 2024 vivevano nel nostro Paese circa 150.000 beneficiari di protezione internazionale, 207.000 richiedenti asilo e oltre 163.000 cittadini ucraini con protezione temporanea.
Circa 38mila di loro sono accolti nei servizi Sai gestiti dagli enti locali. La collaborazione istituzionale fra governi di ogni colore e Chiesa italiana non è una novità, riguarda soprattutto i richiedenti asilo e va avanti da 20 anni a livello territoriale e nazionale con intese strette con esecutivi di ogni orientamento, tecnici compresi. La prima intesa sui corridoi umanitari è stata stretta nel 2017 e rinnovata nel 2019 e nel 2022. Segno che è punto fermo di ogni schieramento l’accoglienza di persone vulnerabili richiedenti asilo bloccate da anni in campi profughi lungo le rotte migratorie africane e mediorientali per dimostrare che esistono vie legali di ingresso in Europa. Pratica elogiata anche ieri nel report Global Trends dell’Unhcr.
Si può obiettare che i numeri degli ingressi dei corridoi umanitari sono bassi – 1.400 persone – ma quella della Chiesa italiana (e della Chiesa valdese) è un’esperienza non solo unica nell’Ue ma autofinanziata con i fondi dell’8xmille e realizzata con la partecipazione attiva di volontari e operatori delle Caritas diocesane e di altre realtà. E quindi va implementata.
L’intesa sposta poi l’attenzione su altre esperienze innovative. Ad esempio, quella dei corridoi lavorativi, inaugurati dal Pakistan coinvolgendo un piccolo gruppo di 15 rifugiati afghani in possesso di qualifiche professionali di alto livello che si sono inseriti perfettamente nelle aziende italiane dopo essere stati aiutati nell’apprendimento della lingua e nell’inserimento nell’ambito lavorativo. Con l’accordo si possono valorizzare maggiormente con vantaggi reciproci le professionalità medio alte bloccate da anni nei non luoghi per eccellenza, i campi profughi, favorendo gli ingressi nelle aziende con cui si collabora. E si possono intensificare i corridoi universitari che stanno portando in tanti atenei italiani studenti e dottorandi rifugiati destinati altrimenti a languire e che nei territori grazie alle parrocchie trovano accoglienza preziosa. Senza dimenticare i più vulnerabili arrivati con i corridoi sanitari. L’arrivo dei piccoli di Gaza mercoledì notte all’aeroporto milanese di Linate conferma la vocazione solidale del nostro Paese e può ampliare lo sguardo anche alle vittime innocenti di conflitti dimenticati come quello sudanese.
L’accordo infine offre l’occasione per provare a integrare i più fragili tra quelli arrivati con i decreti flussi, che alla fine del 2025 saranno circa 450mila. Come ha dichiarato il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, l’intesa è «un ulteriore passo per garantire diritti e doveri sicuri ai migranti, che non sono mai solo numeri o braccia, ma persone che hanno bisogno di politiche lungimiranti di integrazione». Nel nostro Paese risiedono circa 5 milioni e 400mila stranieri, ovvero il 9,2% della popolazione, più della metà sono donne, la religione maggioritaria è quella cristiana. Sono i migranti economici che diventano neo-cittadini al ritmo di oltre 200mila l’anno: colf, badanti, lavoratori nei campi, muratori, panificatori, solo per citare alcune categorie. Sono in prevalenza albanesi, romeni, marocchini, proprio quelli che negli scorsi decenni venivano identificati dall’opinione pubblica come “pericolosi”. Da tempo ormai sono spariti dalle paure della gente comune. La legalità, l’integrazione e la solidarietà hanno vinto una sfida che sembrava impossibile.

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