Occupare le periferie con una presenza in ascolto

Abbiamo visto piazze e scuole riempite dalle proteste. Perché non fare lo stesso con un movimento di cultura, sport, musica e attività educative?
November 22, 2025
Occupare le periferie con una presenza in ascolto
Sit-In all'università /Fotogramma
Viviamo un tempo che chiamiamo spesso di “emergenza educativa”, una definizione importante che rischia di diventare abitudine, come se fosse un’etichetta inevitabile e il sottotitolo purtroppo scontato di molti convegni. Dietro questa espressione ci sono volti, storie, ragazzi e ragazze che si perdono per strada, che si cercano in notti confuse, tra la movida e il web, in quei vuoti che la scuola, la famiglia, la comunità non riescono più a riempire. È una povertà che non riguarda solo il portafoglio ma l’anima: povertà educativa, la mancanza di spazi di senso, di adulti credibili, di luoghi dove imparare a vivere serenamente insieme agli altri e per gli altri. Ogni giorno le cronache ci raccontano episodi di violenza, di sopraffazione, di indifferenza. Quanto accaduto a Palermo al giovane che stava aiutando la vittima di un pestaggio in una zona centrale della città, è solo l’ultimo doloroso episodio. Guerre quotidiane che si combattono in famiglia, con i vicini, tra i banchi, per strada, sui social; silenziose e reali, che feriscono tanto quanto quelle combattute negli Stati e tra le nazioni. Sono frutto di disattenzione, di solitudine, di esclusione, di mancanza di riferimenti saldi, di perdita dei valori, di un crollo dei principi educativi, ma anche di un arretramento della politica e di un avanzamento della grande e piccola criminalità armata. Eppure, proprio mentre il mondo sembra smarrirsi nei conflitti - quelli che devastano interi popoli in tante parti del mondo e quelli dietro casa nostra - possiamo leggere anche un segno di speranza: migliaia di giovani che scendono in piazza per chiedere pace, per dire che l’ingiustizia non può essere normalità. È bello e necessario vedere queste mobilitazioni, tuttavia la pace non si costruisce solo nei cortei o nei gesti pubblici spinti dall’emozione del momento; si crea nel piccolo, nelle relazioni quotidiane, nei gesti che educano, nella scelta di farsi prossimo. Se riuscissimo a portare quella stessa passione che anima le piazze dentro le problematiche delle nostre città, dei nostri quartieri, delle nostre scuole, forse potremmo cambiare davvero qualcosa. Perché la pace nasce anche da un doposcuola aperto nei quartieri difficili, da un’associazione che accoglie ragazzi in difficoltà, da un adulto che ascolta, da un ragazzo che impara a fidarsi di nuovo.
In questi giorni, molte scuole e università sono state occupate con spazi di riflessione, di confronto, di protesta civile; occasioni in cui i giovani cercano parole nuove per leggere il mondo e per capire il proprio posto dentro di esso. Quando quest’onda passerà, perché non pensare di proseguire con lo stesso impegno in un altro modo, ad esempio nel volontariato? Perché non “occupare”, metaforicamente e concretamente, quei quartieri difficili, quei centri storici, quelle periferie dove c’è bisogno di presenza, di ascolto, di opportunità, di solidarietà, di cultura? Perché non “occupare” con la scuola, con la cultura, con lo sport, con la musica, con le attività educative quegli spazi dove la povertà educativa cresce e le mafie fioriscono? Sarebbe bello vedere tanti di questi studenti, insieme ai docenti, impegnarsi nei propri paesi, nelle proprie città, trasformando le classiche occupazioni scolastiche e universitarie in una “preoccupazione” bella e concreta per il territorio. Non per contestare, ma per costruire. Non per chiudersi, ma per aprirsi. Non per dividere, ma per unire. Anche questo potrebbe cambiare pian piano la realtà, riportare vita dove c’è abbandono, relazioni dove c’è isolamento, speranza dove regna l’indifferenza. C’è bisogno di una mobilitazione educativa capace di ricucire il tessuto umano delle nostre comunità civili ed ecclesiali. Non servono eroi ma presenze. Non servono proclami e bandiere, ma mani che si “sporcano” e cuori che restano nei luoghi della fatica quotidiana del crescere, alleandosi non per piccoli interessi di parte, bensì per un bene più grande. Solo così, forse, potremo dire di costruire la pace non solo nel mondo, ma dentro di noi e attorno a noi. Ogni gesto di educazione è un atto di pace e ogni volta che un giovane ritrova il suo posto nella comunità una piccola guerra finisce.

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