Nei giovani la speranza si accende quando il vivere trova uno scopo

Una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo: meno della metà di chi ha tra i 18 e i 34 anni in Italia si dice molto speranzoso
July 27, 2025
Nei giovani la speranza si accende quando il vivere trova uno scopo
Agenzia Romano Siciliani | Giovani verso la veglia di preghiera alla Gmg di Lisbona nel 2023
C’è un tempo per credere, un tempo per cercare, e un tempo in cui la speranza stessa diventa scelta. Il Giubileo dei Giovani 2025 ci invita a tornare a quella parola antica e potente: speranza. Non un’emozione passeggera, ma una postura esistenziale, un orientamento del cuore e dello sguardo, un modo per stare nel mondo anche quando il futuro si fa incerto. Ma che cos’è davvero la speranza? A partire da una recente ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, condotta su un ampio campione rappresentativo di giovani italiani tra i 18 e i 34 anni, possiamo imparare a considerarla non come qualcosa di vago o istintivo, ma come un costrutto complesso, che poggia su quattro pilastri fondamentali: padronanza personale, supporto ricevuto, fiducia e spiritualità.
Quattro dimensioni che, insieme, raccontano la qualità e la profondità con cui un giovane guarda al domani. La padronanza personale è la percezione di avere strumenti per affrontare il futuro, di poter essere protagonisti attivi della propria vita. Non è la certezza di riuscire, ma la sensazione di poterci provare, di avere voce in capitolo sul proprio destino. Il supporto riguarda invece la rete sociale: sapere che c’è qualcuno che ci accompagna, ci incoraggia, ci sostiene. In un tempo che spesso frammenta i legami, sentirsi accompagnati fa la differenza tra resistere e mollare. La fiducia è la lente con cui si guarda il mondo: gli altri sono alleati o avversari? Il futuro è minaccia o opportunità? Non è ottimismo ingenuo, ma capacità di credere che, nonostante tutto, qualcosa di buono possa ancora accadere. E infine la spiritualità, che non si esaurisce nella pratica religiosa, ma abbraccia una dimensione più profonda di trascendenza, ricerca di senso, connessione con qualcosa di più grande.
Secondo i dati, i giovani italiani si posizionano a metà strada: i punteggi medi sono moderati, con valori più alti in “supporto” e “padronanza”, e più bassi in “fiducia” e “spiritualità”. In altre parole, molti giovani si sentono capaci e, in parte, sostenuti, ma faticano a fidarsi davvero e a coltivare un orizzonte spirituale. Tuttavia, non tutti i giovani partono dallo stesso punto. Il lavoro, ad esempio, fa la differenza: chi è occupato ha livelli più alti di speranza in tutte le sue dimensioni, in particolare nella padronanza personale e nella percezione di essere supportato. Anche il titolo di studio influenza: i laureati tendono a percepirsi più padroni del proprio futuro, più supportati e con livelli superiori di spiritualità. E poi c’è la variabile territoriale: la spiritualità, ad esempio, è più presente nel Sud e nei piccoli centri urbani, rispetto alle grandi città. La fiducia, invece, è più elevata tra i giovani del Nord-Ovest. Infine, una nota importante riguarda le donne. Le giovani, purtroppo, riportano livelli di speranza più bassi degli uomini in tutte le dimensioni, eccetto nella fiducia, dove le differenze non sono significative. A colpire è la difficoltà nel percepirsi capaci di gestire il futuro (padronanza), nel sentirsi sostenute (supporto), e anche nella dimensione spirituale. È una fragilità silenziosa, ma strutturale. E chiede attenzione. Non solo per “riparare”, ma per comprendere meglio le sfide invisibili che tante ragazze vivono nella costruzione del proprio futuro.
Se si prende il dato secco la questione diventa ancora più chiara: alla domanda “Ti senti speranzoso/a?”, meno dellaRibaltare la prospettiva metà risponde “molto” o “moltissimo”. Numeri che inquietano, se pensiamo che stiamo parlando della stagione della vita in cui dovrebbe sbocciare la progettualità, la capacità di immaginarsi oltre l’oggi. Invece la speranza vacilla. Ma non tutto è perduto. La stessa ricerca racconta anche dove la speranza si riaccende. Lo fa, innanzitutto, quando i giovani riescono a dare significato alla propria esistenza. Il “senso” — e non il successo — è ciò che davvero alimenta la speranza. Chi percepisce un “perché” profondo, regge meglio la fatica del vivere, affronta con maggiore lucidità l'incertezza e riesce a rimanere aperto al futuro. In altre parole: quando un giovane sente che la vita ha valore, anche le difficoltà diventano attraversabili. Subito dopo, in termini di importanza, viene la soddisfazione dei bisogni psicologici di base: sentirsi autonomi nelle scelte, competenti nelle proprie capacità, in relazione significativa con gli altri. La speranza trova terreno fertile proprio lì, dove i giovani si percepiscono riconosciuti, liberi, capaci. I dati lo confermano con nettezza: chi mostra alti livelli di soddisfazione in queste tre dimensioni riporta anche livelli significativamente più alti di speranza. C’è poi un altro elemento troppo spesso sottovalutato: il volontariato. Chi è impegnato in esperienze di solidarietà, mostra livelli di speranza decisamente più alti rispetto a chi non ha mai partecipato o ha smesso. È come se l’impegno civico attivasse la speranza, o meglio, la confermasse nel corpo e nella realtà. Emerge un dato interessante: chi fa volontariato oggi in modo saltuario ha, in media, i punteggi più alti di speranza se confrontato con gli altri gruppi analizzati (“mai partecipato”, “partecipato in passato ma attualmente no” e “partecipa attualmente in modo continuativo”). Questo suggerisce che non serve essere “attivisti a tempo pieno” per sentire un effetto benefico: anche un coinvolgimento flessibile, ma attuale, fa la differenza. Dare un po’ del proprio tempo agli altri non solo arricchisce chi riceve, ma trasforma chi dà. Rende visibili, fa sentire utili, restituisce il senso di appartenere.
Il quadro che emerge è quindi articolato, ma chiaro. La speranza non è un lusso per anime entusiaste o ingenue. È una condizione fondamentale per vivere bene. I giovani che sperano di più riportano anche punteggi significativamente superiori in tutti gli indicatori di benessere emotivo, psicologico e sociale, così come nella soddisfazione di vita complessiva. Mostrano una vitalità più solida, un senso più radicato del vivere quotidiano e un equilibrio interiore che li sostiene. In questo scenario, il Giubileo dei Giovani 2025 può rappresentare molto più di un evento: può essere un’occasione simbolica e concreta per rimettere al centro la speranza come diritto e come compito. Non solo per chi crede, ma per ogni giovane in ricerca di senso. Non si tratta di distribuire illusioni, ma di costruire insieme luoghi, relazioni, narrazioni dove la speranza sia possibile. Perché non basta dire “abbiate speranza”. Serve creare le condizioni perché la speranza sia credibile. E questo richiede un impegno educativo, comunitario, politico. Significa offrire spazi in cui le domande possano essere accolte, i talenti messi in gioco, il futuro non percepito come nemico ma come compito. I giorni incerti e complessi che viviamo rendono la speranza un atto di coraggio. I giovani non chiedono certezze, ma possibilità. Chiedono adulti che tendano la mano e luoghi dove le domande siano accolte. Perché se oggi un giovane impara a sperare, domani saprà far sperare anche il mondo.
Adriano Mauro Ellena è ricercatore dell’Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo di Studi Superiori e docente di Psicologia Sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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