Lo sguardo dei poeti sociali per scrivere insieme una pagina diversa nella storia dell’umanità

A Verona la seconda edizione della rassegna. Titolo: «Fraternità è il nome della pace»
October 3, 2025
Il poeta William Blake ritratto da Thomas Phillips
William Blake/ WEB
In un’epoca segnata da frammentazione, disuguaglianze crescenti e crisi spirituale, Papa Francesco aveva lanciato, parlando ai movimenti ma rivolto a tutti, un appello tanto urgente quanto rivoluzionario: diventare «poeti sociali», con «la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione». La poesia sociale non è evasione, bensì creatività applicata alla vita umana: per adottare uno sguardo nuovo, da tradurre in un paradigma concreto di trasformazione sociale, capace di forgiare un futuro diverso.
Viviamo in un tempo di profonda astrazione: ci muoviamo in un mondo dove tutto tende a venire ridotto a dati, performance, efficienza. Il digitale verticalizza i processi, spesso accrescendo le disuguaglianze ed erodendo gli spazi di libertà. Dopo una crisi economica inascoltata, una pandemia rapidamente rimossa, un allarme ambientale continuamente eluso, è giunto il momento di cambiare paradigma. E questo cambiamento non può venire dall’alto: richiede una conversione profonda nel modo stesso di stare nel mondo, di guardarlo, di raccontarlo.
Il poeta sociale non adotta una postura estrattiva, che massimizza il vantaggio per sé producendo scarti ambientali e umani. Al contrario, rimane attaccato alla «carne del mondo», come scrive Maria Zambrano. L’iniziale stupore per ogni dettaglio, per ogni unicità e singolarità, diventa fedeltà, cura, impegno.
Il poeta vede ogni cosa come unica ma non rimane prigioniero del particolare: sa cogliere il legame profondo e misterioso tra tutte le dimensioni della realtà, tra il tempo e l’eternità. Come scriveva William Blake, vede «il mondo in un granello di sabbia e l’eternità in un’ora». Ricuce il legame paradossale e vivificante (anziché la polarizzazione sterile) tra singolarità e totalità, tra molteplicità e unità, tra continuità e cambiamento.
Lo spazio della poesia sociale non è quello dell’affermazione di sé, ma del ricevere riconoscente, dal quale sgorga linfa nuova per l’azione. Abbiamo separato il sentire e l’agire: è tempo di ricomporli. Il poeta scrive perché innamorato della realtà, e noi dobbiamo risvegliare la nostra capacità di affezione come possibilità di vita piena.
La logica del poeta sociale non è tappare buchi, erogare servizi mancanti o mettere qualche pezza al sistema così com’è. Si tratta di cambiare postura radicalmente: coinvolgendosi invece di astrarre, camminando insieme invece di stilare statistiche, celebrando la bellezza che già c’è invece di solo recriminare. In un mondo di individui soli, la poesia è sempre corale, perché attinge da ciò che l’ha preceduta e le sta intorno. Esige un ascolto attivo, una partecipazione, un coinvolgimento che trasforma e apre vie nuove. Un pensiero che sostenga gli spazi della nascita e della rinascita, incoraggiando e accompagnando gesti di libertà contributiva. Camminando (insieme) si possono aprire nuovi cammini.
Questo approccio non si contrappone alla razionalità, ma ne cura le derive, liberandola dalla strumentalità e dal calcolo che la mortificano. In un mondo dove vale solo la conoscenza analitica che separa e distingue, perdendo quella intuitiva, emozionale e contemplativa, la poesia restituisce integralità al nostro pensiero.
In un mondo dove tutto si frammenta e si omologa sotto l’egida del profitto, della datificazione e della performatività, farsi poeti sociali significa cogliere, celebrare e coltivare la fitta rete dei rapporti di tutto con tutto. Significa coltivare la varietà, il legame e la libertà nella consapevolezza responsabile che, come scrive Papa Francesco nella Laudato Si’ e come la scienza conferma da molto tempo, tutto è connesso. La poesia è la lingua della fratellanza.
In un mondo dove le ingiustizie, le disuguaglianze e la violenza rischiano di farci cadere nell’anestesia, nella rassegnazione o nel cinismo, la poesia è la lingua della speranza. La crisi spirituale, la crisi di partecipazione e l’impoverimento del linguaggio sono profondamente collegati. Farsi poeti sociali è un invito a riscrivere insieme le righe della storia, tessendo legami duraturi e costruendo fraternità nei diversi ambiti della vita quotidiana.
La rassegna “Poeti sociali” a Verona, quest’anno alla sua seconda edizione, ha come titolo «Fraternità è il nome della pace». È una festa di incontri e testimonianze, momenti di meditazione e linguaggi artistici, che vuole risvegliare in tutti la bellezza e la fiducia di poter scrivere una pagina diversa nella storia dell’umanità. Perché mai come oggi, come scriveva Danilo Dolci, «vi è in ognuno, nel mondo, un enorme bisogno di poesia».

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