L’imprenditore e il vescovo che hanno detto «no» alla ’ndrangheta
Nella diocesi di Locri-Gerace è stato respinto il tentativo di chiedere il pizzo per i lavori nella chiesa del SS. Rosario di Caulonia. Il ruolo di don Franco Oliva

Anche nei territori più difficili, in Calabria, nella Locride, è possibile dire “no” alle sopraffazioni della ’ndrangheta, alle richieste asfissianti di pizzo. Un’antimafia dei fatti concreti. A dare l’esempio pochi giorni fa un imprenditore di Taurianova e il vescovo di Locri-Gerace, sostenuti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. Una squadra del bene che, purtroppo, non troviamo ovunque. La storia sarebbe quella classica se non fosse che la “vittima” è un’impresa che sta lavorando in una chiesa. Niente da stupirsi, non è la prima volta che le mafie chiedono il pizzo anche sui lavori a edifici di culto, non si fermano davanti a nulla, malgrado la loro sbandierata religiosità. Così il 3 settembre due persone si presentano nel cantiere della Chiesa del SS. Rosario a Caulonia, dove sta operando l’impresa Saccà di Taurianova. È uno dei sette cantieri per la messa in sicurezza sismica di importanti luoghi di culto (la Calabria è la regione a più alto rischio sismico), lavori finanziati con 21,6 milioni di euro del Pnrr e gestiti dalla diocesi di Locri-Gerace. Una cifra importante, appetibile per i clan e per questo fin dall’inizio il vescovo, don Franco Oliva, ha operato in stretto contatto con Prefettura, Procura e Forze dell’ordine, per garantire correttezza, trasparenza e impermeabilità. E al fianco delle imprese. «Ogni due mesi le ho incontrate tutte singolarmente e ho chiesto ai carabinieri una tutela maggiore». È quello che la Chiesa in tante terre di mafia deve essere. Ma la protervia della ’ndrangheta non si ferma. Così i due “inviati” del clan il 3 settembre vengono a chiedere esplicitamente agli operai un “contributo” per la “gente che ha bisogno”. Informato dell’accaduto dai suoi dipendenti, l’imprenditore avverte il vescovo e si rivolge alla Polizia che avvia le indagini coordinate dalla Dda diretta dal procuratore Giuseppe Borrelli.
Il 23 settembre i mafiosi tornano alla carica e l’imprenditore viene “rimproverato” e accusato di aver iniziato i lavori senza “aver bussato da nessuna parte”. Ma concedono uno “sconto”, solo 20mila euro, invece del solito 4-5% richiesto dai clan sull’importo totale dei lavori appaltati. E per la Chiesa del SS. Rosario si tratta di un milione e 560mila euro. L’imprenditore non cede e per i due scatta il fermo. Il vescovo non tace. Esprime «solidarietà» e «vicinanza» all’impresa e «condivide» e «sostiene» la denuncia all’autorità giudiziaria auspicando che «tale importante gesto debba essere di esempio per quanti subiscono simili inqualificabili ricatti e monito per chi pensa che sia ancora possibile intimidire chi lavora con serietà e onestà». Parole molto chiare le sue. Definisce il chiedere il pizzo «un peccato del quale bisognerà rendere conto a Dio e agli uomini» ma anche un’«azione criminale che destabilizza chi la riceve facendo perdere serenità e voglia di investire a chi ogni giorno, con sacrifici e senso del dovere, offre lavoro e dignità alle famiglie di centinaia di operai del territorio». E chiede l’impegno di tutti «per far scomparire questa vergognosa piaga che umilia, sconfigge e offende la Calabria e tutti noi calabresi». Oliva non è nuovo a iniziative forti contro la criminalità. La diocesi ha in gestione dieci beni confiscati alla ’ndrangheta, affidati alle parrocchie per ospitare gli oratori o per dare lavoro pulito, anche a ex detenuti. Il vescovo ha più volte definito la ’ndrangheta come «morte» e «antivangelo». Ma ha anche istituito la Giornata di preghiera per la conversione dei mafiosi. Nella chiarezza. La mafia non ama questa Chiesa che ribadisce l’inconciliabilità tra mafia e Vangelo. E che, oltretutto, promuove lavoro, sviluppo e cura del territorio. Perché questa vicenda ha anche un’altra buona notizia. Tutte le opere finanziate col Pnrr saranno completate come previsto entro il 31 dicembre, anzi alcune molto prima come la chiesa di Caulonia in cui lavori saranno completati a fine ottobre. Davvero un bell’esempio. E, ricorda il vescovo, «con la massima attenzione rivolta alla sicurezza degli operai impegnati nei cantieri». La migliore risposta ai mafiosi che anni fa scrissero sul muro dell’Episcopio «più lavoro meno sbirri». Un bellissimo risultato, fatti concreti e puliti, che neanche la ’ndrangheta è riuscita a sporcare.
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