Libertà o controllo? I bambini del bosco che dividono l’Italia

La vicenda dei figli tolti alla coppia che vive nella natura riapre il dibattito tra libertà individuale e dovere collettivo nella società italiana
November 26, 2025
Libertà o controllo? I bambini del bosco che dividono l’Italia
La casa nel bosco a Palmoli dove vivono Nathan Trevallion e Catherine Birmingham a cui il Tribunale per i minorenni di L'Aquila ha disposto la sospensione della potestà genitoriale dei tre figli minori, fra i 6 e gli 8 anni/ ANSA
Come spesso capita, un fatto particolare, che sembra essere collocabile in uno spazio fisico e temporale molto piccolo, fa emergere questioni di grande rilevanza e di notevole spessore, sia teorico che pratico. La vicenda dei bambini tolti alla famiglia che viveva nel bosco nei pressi di Chieti appartiene esattamente a questa categoria.  Il fatto che si tratti di eventi particolari e rilevanti allo stesso tempo lo si capisce dalla loro capacità di far saltare, rimescolandole o addirittura capovolgendole, le convinzioni e le posizioni alle quali siamo abituati. Nel caso specifico, coloro che hanno sempre difeso un approccio “verticale” alle questioni politiche e sociali, privilegiando l’esercizio del potere coercitivo nei confronti dei gruppi e dei singoli, e anche avversando fortemente l’idea della libera determinazione dei soggetti, si sono dichiarati a favore di una scelta per così dire “anarchica”, difendendo la possibilità della famiglia di scegliere liberamente il modo in cui vivere e in cui far crescere i propri figli. Dall’altro lato, coloro che si collocano generalmente in una posizione di critica del potere coercitivo e che difendono l’autonomia individuale come principio essenziale da applicare nel rapporto col potere, hanno invece difeso la scelta dei giudici e l’imposizione di un modello collettivo, che si pone in questo caso come una scelta autoritativa nei confronti dei singoli e di un gruppo familiare. Lo stesso rovesciamento si verifica se si adotta il criterio delle posizioni ecologiste: chi le avversa sistematicamente, si è trovato a difendere la libertà di una famiglia di assumere uno stile di vita totalmente e radicalmente naturalistico; mentre chi si è sempre fatto paladino della necessità di riconvertire i nostri stili di vita, in maniera tale da renderli più compatibili con le esigenze della natura, si è mostrato disposto a comprendere le ragioni di coloro che hanno considerato come non tollerabile lo stile di vita prescelto dalla famiglia dei bambini.
Probabilmente, si tratta di una di quelle questioni che, ricorrentemente, per loro natura, polarizzano le valutazioni di ciascuno perché vi sono implicate scelte di fondo che hanno a che fare con il rapporto tra le regole e il nostro sentire collettivo e individuale. Si può provare però a sciogliere qualche nodo, avanzando un paio di considerazioni che ci aiutino a uscire dalla dicotomizzazione delle posizioni. Una prima considerazione riguarda il rapporto tra diritti e doveri. Se i membri di una società sono titolari di diritti, e se i soggetti in questione rivendicano questi diritti, come il diritto all’istruzione o alla salute, sulla scia di considerazioni giuridiche ‒ ma anche etiche: diceva il Mahatma Gandhi che non si può essere titolari di diritti se non si è compiuto prima il dovere corrispondente ‒, si può affermare che ci sia anche un dovere che porta i singoli, in questo caso le famiglie che hanno responsabilità nei confronti di minori, a dover adempiere ai doveri corrispettivi a quei diritti. Sembra corretto quindi pretendere che le famiglie, nel momento in cui si considerano parte del consorzio civile, mettano in atto tutto ciò che è necessario affinché i diritti di cui rivendicano la titolarità possano essere correttamente perseguiti e resi efficaci.
Si pone però, a questo punto, un problema più generale, ed è la seconda considerazione che vorrei fare. Fin dove si estende il nostro dovere di adeguarci al modello sociale seguito dalla collettività di cui facciamo parte? Sappiamo che alcuni dei doveri più cogenti, come ad esempio fu quello della leva militare (che tra l’altro qualcuno vorrebbe improvvidamente riproporre), prevedono la possibilità dell’obiezione di coscienza. Questa possibilità esiste con riguardo ad (almeno) alcuni dei doveri messi in gioco da questa vicenda? Se così fosse, le cose prenderebbero un’altra piega, e probabilmente dovremmo riconoscere la libertà di alcuni cittadini di perseguire in maniera autonoma il loro progetto di vita, naturalmente sempre salvaguardando gli interessi sociali e il benessere della comunità. Si tratta di questioni che emergono di tanto in tanto e che sono da prendere sul serio perché permettono di riflettere sui (e persino di ridefinire i) confini tra individuo e potere, tra libertà e obbedienza, tra il diritto di perseguire i propri scopi di vita e il potere della collettività di esigere da noi determinati comportamenti. Proprio per questo, occorre uscire dagli schematismi e dalle contrapposizioni preconcette, e ragionare insieme nella maniera più serena e più dialogante possibile.

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