La strage degli innocenti. E dei ragazzini «perduti»

January 31, 2011
Centocinquantacinque. Sono centocinquantacinque le vittime innocenti che la camorra ha mietuto in questi anni in Campania. Centocinquantacinque esseri umani, nostri fratelli, colpevoli di niente, trucidati in tempo di pace in una delle più belle regione del ricco e orgoglioso mondo occidentale.Una vera 'strage degli innocenti' alla quale non vogliamo assuefarci, né rassegnarci. Sarebbe sommamente deplorevole lasciar cadere nell’oblio i loro nomi, le loro storie, la loro voce. La camorra non guarda in faccia a nessuno. Non lo ha mai fatto, né intende farlo per il futuro. Assetata di denaro e di potere mette preventivamente in conto questi che considera "imprevisti del mestiere". Pur di eliminare chi le sbarra il passo, e ripristinare il predominio su cittadini e territorio, ricorre alle armi con disinvoltura.È la legge della giungla trapiantata nei nostri centri urbani. Si ammazza. Per le strade. Nelle case. Nei locali pubblici. Davanti a una chiesa o al negozio della frutta. «Abbiamo bisogno di credere alla giustizia. La nostra ferita è una ferita di tutta la città, nessuno può sentirsi escluso», ha detto venerdì scorso in piazza Plebiscito Alessandra Clemente, la figlia di Silvia Ruotolo, una delle vittime innocenti dei clan. I napoletani ritengono un onore stringersi attorno a chi piange e moltiplicare all’infinito il suo grido. Centocinquantacinque, ma il numero è destinato a salire vertiginosamente se vi aggiungiamo i tantissimi baby delinquenti ammazzati. L’ultima, tristissima tragedia, avvenuta sabato sera a Qualiano, sempre nel Napoletano, ha visto finire senza vita sul selciato antistante un supermarket due giovanissimi rapinatori: 24 anni – e già padre di un bambino – il primo; sedici anni appena – un anno in meno di Anthony, anch’esso ucciso a Napoli durante una rapina – il secondo. Si rimane esterrefatti davanti a questi adolescenti con le pistole. Minorenni spietati e ingenui che ostentano un coraggio che spaventa. Fanno paura e tenerezza.Chi arma queste mani di bambini? Un destino cieco e sordo o una serie ininterrotta di omissioni da parte di chi avrebbe dovuto vigilare sulle loro vite?Muoiono altri due giovani delinquenti e nessuno se la sente di cantar vittoria.Certo – occorre dirlo forte – non sono eroi e nemmeno sono da paragonare agli innocenti uccisi. Però, sedici anni sono veramente pochi per portare tutta la responsabilità di una scelta scellerata. Gianluca Guida, direttore del carcere di Nisida, ha dichiarato che «in alcuni quartieri la camorra si sostituisce allo Stato e la gente arriva a condividerne lo stile di vita». È vero. Il problema è questo. I giovanissimi delinquenti sono le prime vittime di un assurdo modo di intendere la vita.La Campania deve chiedersi che cosa ha fatto per questi giovani delinquenti e per i quartieri dove la malapianta criminale continua a germogliare indisturbata. Inutile illudersi: la guerra alla malavita organizzata, forte di una microdelinquenza perniciosa, pericolosissima e asfissiante, non sarà mai vinta senza un’intelligente strategia. Occorre combattere su più fronti. Occorre difendersi e attaccare. Accerchiare e intimidire. Aiutare e incoraggiare. Occorre dare vita a una catena di montaggio. La Chiesa fa la sua parte, raccogliendo e raggruppando i fanciulli e i giovani per farli innamorare del bene e allontanarli dalla strada. Ma non basta. Bisogna sapere concretamente come e dove orientarli, perché guardino al futuro con serenità. Altrimenti li perdiamo. Li perde la famiglia. Li perde la Chiesa. Li perde la società. E nessuno potrà sentirsi al sicuro mai. Nemmeno sotto casa sua.

© RIPRODUZIONE RISERVATA